Eugenio Corti, vita nascosta di un buon maestro

Il ricordo diventa poesiaIl corso allievi ufficiali, la campagna di Russia, gli studi universitari zoppicanti, Dante e Omero Nei «Diari» finora inediti i segreti dell’autore del «Cavallo rosso» (nessun accenno alla moglie).

È una sera di novembre del 1940; nella sezione “interni” del Collegio San Carlo di Milano, uno studente dell’ultimo anno di liceo classico siede davanti a un foglio. Sta facendo un autoritratto preciso e netto, come se dovesse descrivere un estraneo appena incontrato. Ancora più affilato è il giudizio quando dall’aspetto fisco passa al carattere, notando il “disordine” che (lo) governa. Ma quel tratto, sottolinea con rara capacità introspettiva, ha una precisa radice: «Questo disordine io lo attribuisco al mio temperamento artistico». Quel ragazzo è Eugenio Corti (1921-2014), che diventerà uno dei massimi romanzieri del Novecento: Il cavallo rosso è ormai un classico, oltre che una lettura indispensabile per capire l’Italia della Seconda Guerra Mondiale e del dopoguerra, e cioè le radici dell’attualità.

Ora Ares, dopo Io ritornerò (2015), pubblica Il ricordo diventa poesia. Dai Diari (1940-1948) a cura di Vanda Corti e Giovanni Santambrogio (176 pp., 14 euro), un’antologia di testi privati, inediti e preziosi perché ci mostrano il bacino di incubazione e la maturazione delle idee dell’autore, attraverso le sue esperienze giovanili: il corso per allievi ufficiali, la decisione di partire per la Russia, i non esaltanti esordi universitari (il primo esame, addirittura, Istituzioni di Diritto Romano, avrà un esito così disastroso che Eugenio si ritirerà senza voto), il primo Natale di guerra (p. 57, annotazione del 26 dicembre 1940), in cui «traspariva da tutti i discorsi, quell’insieme di preoccupazione, di malinconia, di desiderio di pace, che caratterizza la psicologia dei maggiori giorni di festa durante i periodi anormali». E poi, nell’imminenza delle elezioni del 1948, Eugenio coglie a perfezione lo snodo epocale da esse rappresentato (pp. 157-158); e si rammarica di non potersi dedicare di più a quelle robuste letture formative, essenziali per uno scrittore: Omero, Dante e Shakespeare, necessari per dare respiro all’opera letteraria (Corti scrive, con immagine immediata, che «in (loro) compagnia mi si allargavano i polmoni»).

Come ricorda la Prefazione di Luca Montecchi, Corti è un unicum nella letteratura del secondo Novecento: in un Sopra, Eugenio Corti, autore del best seller «Il cavallo rosso». Nei «Diari» (a sinistra) lo scrittore narra particolari inediti della sua vita panorama pieno di “cattivi maestri”, sia che lo fossero, sia che si compiacessero di atteggiarsi a tali, lui ha, invece, voluto essere un “maestro” tout court, con il suo voler legare esigenza artistica, urgenza morale e intento didattico, evidente in tutta la sua opera.

La coerenza profonda del Corti artista è stata prima di tutto, va detto, l’intima coerenza del Corti uomo, con la sua ambizione di essere uno scrittore, e uno scrittore “totale”, di quelli che sanno ricreare tutto un mondo nelle loro opere, sia che si tratti del microcosmo di Besana, che delle reducciones del Paraguay de La terra dell’Indio, che del mondo essenziale di Catone l’Antico.

Il ricordo diventa poesia è un diario di formazione accuratissimo: Corti era un uomo precisissimo, un catalogatore seriale, e non c’è avvenimento che non sia stato annotato fedelmente. Il volume si apre con questa dedica: «A te/ che ancora non conosco/ e che un giorno diventerai/ la compagna della mia vita,/ ai tuoi grandi occhi/ lucenti/ questi diari,/ sui quali certamente mi accadrà di narrare/ il nascere del nostro amore». Il giovane Eugenio lo dice esplicitamente: cerca l’amore, e lo cerca con un desiderio di assoluto, senza se e senza ma, senza compromessi, con un rigore che gli fa giudicare severamente le debolezze dei commilitoni e degli altri ufficiali in Russia, in una zona e in una situazione (pp. 95-96) dove era consueta una certa rilassatezza morale. Da vera mosca bianca nella sua batteria, si sente sempre caricato di una responsabilità in primis morale: «Mia maggiore preoccupazione: conoscere gli uomini per poi farmi conoscere da loro e obbligarli per il loro bene stesso a inquadrarsi nella mia concezione delle cose. Mio maggior desiderio: trovarmi nel pericolo per vedere come mi sarei comportato. Ma sentivo che tutto sarebbe andato bene: ero cupamente deciso a farmi schiantare piuttosto che ad avere paura o a essere debole».

Eugenio sogna l’amore e finalmente lo trova in Vanda di Marsciano, che oggi, settant’anni dopo il loro primo incontro, così scrive: «Di me non parla nei diari, c’è solo un breve accenno nel novembre ’47: «Dovrei ora parlare di V., più importante di quanto detto finora. Ma non lo faccio». Poco dopo termina di scrivere i diari: e «a testimoniare per tutti la sua vita e il suo impegno verranno i libri».

(Silvia Stucchi, 10/12/17, Libero)