Intervista ad Alessandro Rivali, curatore del libro Io ritornerò.

La copertina di Io ritornerò

La copertina di Io ritornerò

Alessandro Rivali, curatore del libro Io ritornerò. Lettere dalla Russia 1942-1943 (Ares, 2015), invita alla lettura della corrispondenza inedita di Eugenio Corti risalente al tempo di guerra, recentemente ritrovata nella casa dello scrittore a Besana in Brianza.

Per chi conosce già le opere di Eugenio Corti, a suo avviso ci sono delle novità che emergono da questa raccolta di lettere?
Credo che per tutti lettori di Corti affrontare Io ritornerò sarà un “viaggio” appassionante e ricco di sorprese. C’è, infatti, una miriade di spunti inediti che aiutano a comprendere meglio la personalità e le scelte di vita dell’autore (la sua decisione di partire volontario…), nonché un tratto decisivo della sua vita finora rimasto in ombra (l’arrivo al fronte russo e i primi mesi sul fronte orientale), assai più in ombra rispetto alla tragica Ritirata di cui abbiamo uno straordinario resoconto day by day ne I più non ritornano. Soprattutto, in queste lettere ritrovate possiamo ritrovare in “presa diretta” quella sete di verità e bellezza che fu il sigillo dell’intera ricerca letteraria di Eugenio Corti. Dal punto di vista letterario, l’elemento più sorprendente è costituito da quelle lettere che costituiscono in nuce l’ossatura delle grandi narrazioni della prima parte de Il cavallo rosso. E pensare che a quel tempo Corti era un sottotenente di artiglieria di soli 21 anni… Queste lettere furono il suo primo “cantiere” di scrittore.

Può darci qualche particolare in più?
Si potrebbe dire che ogni immagine della guerra in Russia si sia stagliata in modo indelebile nella memoria di Corti. Ogni singolo dettaglio, dalle persone alle osservazioni sulla flora e sulla fauna locale. Ebbene, le lettere ai famigliari (in prevalenza ai genitori) sono una sorta di block notes che un giorno si trasformeranno nel grande romanzo corale che tutti conosciamo. Ecco qualche esempio: la partenza della tradotta per il fronte, la descrizione delle incursioni aeree, i dialoghi con i contadini del luogo, l’emozione di ricevere la posta dall’Italia, l’avanzata verso il Don, la costruzione dei rifugi d’inverno… Personalmente la lettera che mi ha colpito di più è stata quella in cui descrive alle sorelle l’incontro con i primi morti russi: “soldati che hanno compiuto il loro dovere”, la stessa espressione che ritornerà ne Il cavallo rosso.

Quale valore può avere questa corrispondenza inedita per gli storici?
È sorprendente constatare l’efficienza della posta di guerra. Corti scrisse molto (abbiamo trovato un centinaio di documenti, ma chissà che qualcosa non salti ancora fuori dall’archivio di Besana) e quasi tutto arrivò a destinazione. Per uno storico questo materiale è una fonte privilegiata per comprendere la vita quotidiana di un ufficiale in grigioverde di quegli anni. Di certo, la vita militare di Corti ebbe un doppio volto. Lo spartiacque è segnato dall’offensiva sovietica “Piccolo saturno” nel dicembre 1942. Lì iniziò la tragedia congelata che tutti conosciamo. Ma i primi tempi di guerra per il giovane artigliere furono molto diversi. Il suo reparto non affrontò prove pericolose. Il massimo inconveniente che dovette affrontare fu una slogatura al braccio provocatagli da una caduta dal camion… Corti ebbe il tempo di leggere, di chiedere libri a casa (insieme alle cartucce per la caccia), di cavalcare da “cosacco in terra di cosacchi”. Ci sono lettere bellissime e ricche di particolari che ci illustrano ogni momento della sua giornata (c’era sempre un piatto di pasta asciutta e la musica del grammofono era una grande compagnia, mentre i soldati giocavano a calcio nei prati…). Il carteggio è arricchito da un vasto corredo di fotografie realizzate dallo stesso Corti. È un altro spunto di novità e di studio.

Corti non ha mai fatto mistero della sua fede: questo aspetto si evince chiaramente nelle sue lettere. E’ per questo che poté affermare con sorprendente sicurezza “Io ritornerò”?
Corti ebbe una fede limpida come il cristallo che emerge in modo significativo in numerosi passi del carteggio. La lunga lettera che scrisse dalla stazione di Bologna il 9 giugno 1942 in attesa di partire per il fronte è commovente e illuminante. Posso riportare uno dei passi più intensi: “Io parto sereno, allegro anche: ciò che viene dalle mani di Dio dà sempre gioia. […] E ricordatevi: tornerò. Da quanto vi ho detto prima è chiaro che devo tornare: lo sento. Potrò magari essere ferito o esser dato disperso, ma di una cosa voglio che vi ricordiate assolutamente: che tornerò. Sento che Dio mi guida per una strada che Lui solo conosce, ma che è ancora lunga”. Sì, Corti in cuor suo aveva compreso che gli era stata una missione particolare: essere testimone della sua verità. Doveva tornare.
La sua fede passava poi per aspetti molto concreti, per esempio, la decisione di frequentare i Sacramenti anche in circostanze complicate (la confessione e la Messa al fronte), oppure la volontà di devolvere il suo stipendio militare ai civili polacchi di cui aveva visto le indicibili sofferenze.

(intervista a cura di Aciec, Associazione Culturale Internazionale Eugenio Corti)