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Dalla Brianza al mondo: lo scrittore E. Corti

L’occasione offerta dal fatto che le parole e le opere di Eugenio Corti giungano oggi all’attenzione delle Istituzioni e in particolare della Camera dei Deputati ha il significato di un incontro tra Paese Reale e Paese Legale: in altri termini, avviene qui e ora il contatto tra un’opera d’arte “nazionale” e il suo destinatario politico “nazionale”.

Sì perché le milleduecento pagine del romanzo maggiore di Corti, Il Cavallo Rosso e almeno le due prove narrative che lo precedono e lo seguono (il diario di guerra I più non ritornano e Gli ultimi soldati del re), esprimono ancora oggi la vox populi di un’Italia che è uscita dalle dure prove del Dopoguerra, della Ricostruzione, del Miracolo Economico e degli Anni di Piombo. In un certo senso, a parlare, nei romanzi di Corti, è un’altra Italia cioè quella che di fronte ai drammi e alle sfide del secondo Novecento ha proposto un modo di vivere “civile”, mite e operoso, a volte inconsapevole e generoso: un modo di vivere che ha soretto la società e le istituzioni sino alle soglie degli anni Ottanta.

Il matrimonio di Eugenio e Vanda

“Sono sceso alla radice del male”

Eugenio Corti ha appena festeggiato ottant’anni. Qualche anno fa un sondaggio tra i lettori di Avvenire lo aveva indicato come il più amato fra gli scrittori cattolici viventi. Lo scorso ottobre una giuria presieduta dal sociologo Gianfranco Morra gli conferiva il premio internazionale “Medaglia d’oro al merito della cultura cattolica”: un riconoscimento che era andato in passato, fra gli altri a filosofi come Adriano Bausola e Augusto del Noce, ai cardinali Joseph Ratzinger e Giacomo Biffi, e al fondatore di Comunione e Liberazione don Luigi Giussani.