Un popolo che prega

Il cavallo rossoLa riscoperta nelle famiglie della preghiera del rosario come baluardo contro il male: una riflessione del superiore generale della Fraternità [San Carlo] accompagnata da alcuni brani de «Il cavallo rosso» di Eugenio Corti.

Durante le settimane di reclusione dovute alla pandemia, in molte delle nostre famiglie si è spontaneamente risvegliata la preghiera quotidiana del rosario. È riemersa come un’abitudine dimenticata ma ancora vitale. È paradossale: mentre la tecnologia più moderna ci permette di fare apparire sugli schermi dei computer e dei telefoni i volti dei nostri cari, ci troviamo riallacciati a un mondo ormai materialmente tramontato e ripetiamo i gesti semplici dei nostri avi. Scopriamo così che è ancora possibile pregare insieme e chiedere la protezione di Maria.

Con l’aiuto di Eugenio Corti vorrei fare un breve passo indietro nel tempo, ed entrare in una casa che potrebbe essere quella dei nostri nonni o bisnonni. Ciò che vi vedremo accadere, come mostra la nostra esperienza di questi giorni, indica una strada che è ancora possibile percorrere.

Siamo nella terra de Il cavallo rosso, a Nomana, un borgo immaginario e reale della Brianza del primo Novecento. È sera. Nella piazza del paese si è conclusa da poco un’adunata popolare e il capo della sezione locale del partito fascista ha annunciato con grande enfasi che l’Italia è entrata in guerra a fianco della Germania. La cittadina d’ora in poi sarà sottoposta al coprifuoco, il cosiddetto «oscuramento». Uno dei giovani protagonisti del romanzo, un cugino dei figli della famiglia in cui stiamo per entrare, è già stato chiamato alle armi.

«Quella sera in casa di Gerardo [il padre di famiglia] il rosario quotidiano venne recitato con più impegno del solito. Le donne – cioè la madre Giulia, e le due figlie maggiori: Francesca, di diciassette anni e Alma di tredici – erano emozionate, per cui anche Giudittina, che di anni ne aveva solo cinque, si sforzava di pregare con devozione, e spalancava a tal fine gli occhietti azzurri per non farseli chiudere a tradimento dal sonno, come non di rado le succedeva durante quella preghiera. “Oggi il rosario lo diciamo per Manno e per la nostra patria” aveva annunciato all’inizio la madre. I giovani maschi non intendevano però lasciarsi suggestionare. “Capito? Dunque per te no”, aveva sussurrato, scherzando, all’orecchio di Ambrogio il fratello che per età lo seguiva, il sedicenne Fortunato. Accettando lo scherzo Ambrogio aveva allargato le braccia: “Vuol dire che per me pregherete tra qualche giorno, quando sarò anche io sotto le armi”».

In pochi tratti Corti mostra una famiglia che vive il rosario come una consuetudine normale. È un momento di grande naturalezza, in cui trovano spazio le preoccupazioni degli adulti come l’ingenua voglia di scherzare dei ragazzi, che rubano ancora qualche secondo prima di unirsi al raccoglimento generale. Il tessuto delle relazioni familiari e dei ruoli sociali si rispecchia senza artificio nel dialogo con la Madonna.

Corti sorride guardando i maschi che pregano camminando avanti e indietro per la sala mentre le donne, che di solito pregano sedute, questa volta si sono messe in ginocchio. Ci conduce poi nel segreto dei singoli cuori: alcuni vivono la preghiera con vera partecipazione interiore, altri si lasciano trasportare più passivamente dal flusso della cantilena. Nei pensieri con cui ciascuno accompagna le invocazioni traspaiono le proprietà del suo temperamento, il momento personale che sta attraversando, la convinzione con cui si rivolge a Dio.

«La madre poneva nella preghiera tutta l’intensità e l’ardore di cui era capace. Era profondamente credente e lo Spirito le corrispondeva, cosicché quando pregava suscitava negli astanti la sensazione che la prima e più vera realtà per lei non fosse quella terrena e visibile, bensì l’altra, quella trascendente». Durante il regime comunista, nella Siberia rurale dove i nostri missionari lavorano da ormai trent’anni, donne come questa ritratta da Corti hanno alimentato per decenni la fede di interi villaggi.

«Le invocazioni uguali del rosario si succedettero: nell’intendimento di Giulia, e per riflesso di tutti gli altri, erano simili ciascuna ad un toc, toc, all’uscio dell’Aldilà, secondo quell’invito del Vangelo: bussate, non stancatevi di bussare, e vi sarà aperto. Per parte sua Ambrogio chiese con fede alla madre comune, lasciataci da Cristo in croce, di aiutare l’Italia “che oggi si è intruppata in modo così scervellato coi nazisti: tu però non puoi abbandonarlo un popolo come il nostro che, al di là delle scempiaggini che combina, ha sempre avuto e ha per te un amore autentico…” La invocò inoltre per la salvezza personale di suo cugino Manno e dei singoli conoscenti alle armi, citandoli mentalmente uno per uno; infine le chiese di proteggere tutti i soldati italiani, e qui gli parve di pregare un po’ anche per se stesso, che certo entro qualche giorno sarebbe andato soldato».

La figura del giovane Ambrogio, colto mentre analizza la nuova situazione politica sgranando avemarie, incarna il realismo intelligente di un popolo quotidianamente educato dal rapporto con Maria. In questa istantanea è custodita un’esperienza che può rinascere anche oggi nelle nostre famiglie. L’oscuramento di Nomana richiama il lockdown dei nostri giorni di epidemia. Anche oggi la normalità della convivenza sociale è sospesa e la vigilanza pubblica allentata. Anche oggi luce e tenebra si affrontano in un duello terribile, tra le mura domestiche, nelle corsie di ospedale, negli istituti di ricerca, nei luoghi del potere. Anche oggi un popolo che prega, riunito per case e famiglie attorno alla Madonna, può essere baluardo a difesa dell’umano contro le forze oscure che ancora lo minacciano.

(luglio 2020, Fraternità San Carlo)