La ‘incontemporaneità’ di Eugenio Corti scrittore cattolico più noto all’estero che in patria
Tra i “casi letterari” riguardanti autori italiani del XX secolo, senza dubbio uno dei più eclatanti è quello dello scrittore e saggista Eugenio Corti, di cui il 2021 è stato il centenario della nascita (21-1-1921). «Chi era costui?» – potrebbe dire di lui qualcuno, purtroppo. Si, perché, per quanto incredibile possa risultare a chiunque ne scorra il curriculum letterario, Eugenio Corti più che in Italia è noto all’estero, soprattutto in Francia (le sue opere sono state tradotte in Francese, Inglese, Lituano, Polacco, Portoghese, Romeno, Russo, Spagnolo ed anche in Giapponese).
Esordì con I più non ritornano (Ed. Garzanti, 1947), insieme romanzo e cronaca della rovinosa ritirata dei soldati italiani dalla Russia nel 1942-43. La recensione che subito ne fece Mario Apollonio esordisce così: «La prima impressione che produce questo libro tremendo è che sia un libro di cronaca; così vera e greve e tetra da diventare selvaggia. E cronaca rimane, beninteso; ma c’è ben altro (c’è, dietro la realtà, la verità)». Giulio Nascimbeni lo definì «una delle testimonianze più belle e più straordinarie uscite dalla ritirata di Russia»; Benedetto Croce scrisse che il libro era stato per lui «… una lettura angosciosa e straziante, alla quale non manca la consolazione del non infrequente lampeggiare della bontà e della nobiltà umana».
Seguì I poveri cristi (Ed. Garzanti, 1951). Non fu accolto con lo stesso favore, perché non parlava troppo male dei soldati del regio esercito italiano rimasti in armi dopo l’8 settembre 1943 senza abbandonare le loro posizioni; l’opera, rivista e ampliata dall’autore, fu ripubblicata col titolo Gli ultimi soldati del Re (Ed. Ares, 1994).
Maggior eco ebbe la tragedia Processo e morte di Stalin: contrastata dalla critica marxista, poco sostenuta da quella cattolica, fu in cartellone per tredici rappresentazioni nella stagione 1961-62 del “Teatro della Cometa”, compagnia teatrale diretta da Diego Fabbri, La regia di Orazio Costa Giovangigli, però, non piacque a Corti, che lamentò: «… ha evirato la rappresentazione, trasformandola da dramma in lettura scenica. I vari personaggi hanno letto ciascuno la propria parte senza muoversi dal rispettivo leggio: quello non era più teatro, ma lettura drammatizzata» (da P. Scaglione, I giorni di uno scrittore. Incontro con Eugenio Corti, Ed. Minchella, 1997, p.112). L’opera, pubblicata dall’Ed. Massimo nel 1962, sarà ripubblicata con altri testi sul comunismo nel 1976 dall’Ed. Ares.
Il capolavoro di Eugenio Corti è senza dubbio Il cavallo rosso (Ed. Ares, 1983). Prodotto in oltre trenta edizioni e venduto in quasi quattrocentomila copie, è un romanzo di così ampio respiro da ricordare quelli dei Grandi della letteratura russa tra Ottocento e Novecento, da Tolstoj e Dovstoëvskij a Solzenicyn. Non per nulla, e soprattutto grazie a quest’opera, dopo aver ricevuto nel 2000 il “Premio internazionale al merito della cultura cattolica”, lo scrittore fu proposto per il Premio Nobel 2011 da un comitato spontaneo, sostenuto dalla Provincia di Monza e Brianza e dalla Regione Lombardia.
Corti, però, fu sempre molto realista in proposito, e in un’intervista del 15/01/2011 dichiarò: «Li ringrazio molto, ma per un cattolico oggi è molto difficile ricevere questo premio. C’è grande difficoltà ad accettare la cultura cristiana. Il Nobel è un’istituzione prestigiosa, ma in anni recenti è stato premiato anche chi con la cultura ha poco a che fare… A me basta che le mie opere siano conosciute e che magari Il cavallo rosso venga letto nelle scuole. Poi penso sempre che se non hanno dato il Nobel a Tolstoj, posso star tranquillo…».
Poi Eugenio Corti, convinto da alcuni insegnanti che aveva conosciuto, i quali ne avevano letto e apprezzato il romanzo, per l’Ed. Mursia trasse dal suo capolavoro due riduzioni adatte alle letture per le scuole medie: Storia di Manno (le vicende di Manno Riva, uno dei personaggi principali del romanzo – 1986) e I ragazzi del ’21 (1999).
Atre sue opere, che non si possono considerare minori se non in rapporto alla smisurata grandezza de Il cavallo rosso, sono: Il fumo nei tempio (1996, raccolta di saggi editi e inediti), i tre “racconti per immagini” La terra dell’indio (1998), L’isola del paradiso (2000), Catone l’antico (2005), ed Il Medioevo e altri racconti (2008) – tutti per l’Ed. Ares.
Eugenio Corti scriveva moltissimo ed ha lasciato molti appunti e lettere: inediti giunti ai suoi lettori, quasi in eredità, grazie all’opera della moglie Vanda, di altri estimatori e della principale biografa Paola Scaglione (col citato I giorni di uno scrittore… e con Parole scolpite. I giorni e l’opera di Eugenio Corti, Ed. Ares 2002). L’Ed. Ares ha così pubblicato, postumi lo ritornerò (2015, a cura di Alessandro Rivali: lettere degli anni 1941-42 dalla Russia, con corredo di fotografie dello stesso Corti), Il ricordo diventa poesia (2017, dai diari 1940-1948, a cura della moglie Vanda di Marsciano e di Giovanni Santambrogio), Voglio il tuo amore. Lettere a Vanda 1947-1951 (2019, a cura della moglie) e Ciascuno è incalzato dalla sua Provvidenza. Diari di guerra e di pace 1940-1949 (2021, a cura della moglie, di Mario Vismara e di Carlo Crespi).
È attivo un sito ricchissimo di notizie e scritti di e su Eugenio Corti: https://www.asseucor.it (non più aggiornato, il sito del Centro Studi Eugenio Coti ETS è www.eugeniocorti.net, NDR)
Ma qui non voglio scrivere un saggio sullo scrittore Eugenio Corti. Voglio solo parlare un po’ dell’uomo, che ho conosciuto quattro volte nella mia vita. Ho avuto questa immensa fortuna, lo ammetto. La prima conoscenza che ebbi di Eugenio Corti fu minima e curiosa. Ero un bambino di otto, nove anni ed entrambe le volte fu sotto Natale; era il 1959 e poi il 1960. A quel tempo mio papà era, tra l’altro, segretario di zona della DC per Monza e Brianza; ciò comportava un compito che oggi può sembrare un po’ ridicolo ma allora era una cosa seria: scegliere le persone cui far recapitare il panettone con gli auguri natalizi. A recapitare i panettoni ci pensavano i volontari delle varie sezioni della DC, ed una quota di consegne se l’era riservata mi papa, girando per i paesi d’intorno (abitavamo ad Albiate, allora provincia di Milano, da cui dista poco più di venticinque chilometri sulla direttrice per Erba, lungo il corso del fiume Lambro). Ebbene, nella lista di quei notabili mio papà aveva inserito Eugenio Corti, proprio tra quelli cui avrebbe provveduto lui a consegnare il piccolo dono.
Mio papà aveva una “Topolino C” blu, presa usata nel 1958, e con quella faceva le consegne; ma aveva bisogno di un aiutante, per accelerare i tempi. Così mi chiese se ero disposto ad accompagnarlo, in cambio di una mancetta settimanale raddoppiata (che allora lui aveva fissato per me in 10 lire per anno d’età, quindi ottanta, novanta lire, più un altro centinaio di lire per il biglietto del cinema dell’oratorio, quando ci andavo). Era una proposta vantaggiosa; ma io avrei accettato anche gratis, perché mi piaceva andare in macchina con mio papà e far finta di guidare osservando come faceva lui.
Ricordo ancora le dieci tappe di quei giri: da Albiate a Ponte Albiate, prima consegna; poi a Rancate, seconda; poi a Calò, terza, e a Villa Raverio, quarta. Poi si andava a Besana Brianza per due consegne; quindi si scendeva a Montesiro, poi a Tregasio, poi a Canonica Lambro, per poi risalire a Triuggio per le ultime quattro tappe e ritornare ad Albiate, a casa.
Una delle due consegne di Besana era quella per Eugenio Corti. Papà fermava la macchina vicino al cancello d’ingresso della sua bella villa di famiglia, io scendevo, suonavo il campanello, entravo, consegnavo il panettone coi saluti e gli auguri di papà Aldo. La consegna del primo anno fu per me un po’ uno spavento, perché mi venne ad aprire un uomo alto, coi capelli folti e due sopracciglia se si può ancor più folte che assomigliavano a quelle di un orco delle fiabe (almeno così mi parve allora), tanto che consegnai il panettone dicendo solo «auguri» e scappai via senza nemmeno salutare. Una figuraccia, insomma.
L’anno dopo fu una consegna del tutto differente: mi venne ad aprire una signora bella e gentile (poi seppi che di nome faceva, e fa tuttora, Vanda: sua moglie), che al momento del saluto mi disse di aspettare un attimo, che ‘doveva’ darmi una mancia; io provai a risponderle che non era il caso, ma mi ritrovai in mano ben cinquanta lire. Indimenticabile!
La seconda conoscenza che ebbi di Eugenio Corti fu di lui come scrittore. L’amicizia che aveva per mio papà (ed era reciproca, anche se la loro non era una frequentazione assidua) l’aveva portato a fargli avere in omaggio una copia della quinta edizione (giugno 1964) de I più non ritornano; e mio papà, dopo averlo letto, mi diede il libro, dicendomi che ormai avevo l’età per capirlo. Quell’anno avevo appena finito la scuola media. Lo lessi d’un fiato. Rimasi colpito, anche un po’ straziato, perché certe pagine sono proprio da piangere. Ma poi lo rilessi, per capire meglio. Non avevo mai letto niente di più angosciante e avvincente assieme. Dopo di allora mi è capitato di rado di sentire le stesse emozioni, se non scontrandomi, qualche anno più tardi, con la durezza di alcuni canti della Divina Commedia, e più tardi ancora incontrando (mutatis mutandis) le vicende dell’epopea fantasmagorica de II signore degli anelli di Tolkien.
Veramente, I più non ritornano fu il primo libro “da grandi” che lessi: aveva il fascino della realtà, che in Tolkien è come stemperato nella favola e in Dante appare meno immediato a causa del suo modo di poetare. E poi, se di Dante avevo sentito parlare, di Tolkien ancora no; invece sapevo benissimo chi fosse il dottor Eugenio Corti di Besana Brianza: un signore in carne ed ossa, che avevo visto di persona e potevo dire di conoscerlo non solo come si conosce, leggendolo, un autore. Un signore coraggioso, che, scrivendo, aveva messo se stesso a disposizione dei lettori; i quali avrebbero anche potuto non capirlo (e molti non l’hanno capito), avrebbero potuto anche non comprenderne le convinzioni (e così è stato), avrebbero potuto criticarlo (con argomenti pro e contro), perfino attaccarlo per le sue idee (e ciò avvenne, “da destra” e soprattutto “da sinistra” – come allora si diceva); ma non avrebbero potuto più ignorarlo, una volta letto quel che aveva scritto. Cominciavo ad avere ammirazione per lui. Ancora: indimenticabile!
La terza conoscenza che ebbi di Eugenio Corti fu quella di un “uomo alla mano”. Erano passati molti anni, era verso la fine del 1987. Da tre anni ero diventato preside della scuola media di Buccinasco, la seconda, quella di via Emilia, ma frequentavo ancora un bel gruppo di amici insegnanti, che si riunivano con cadenza circa mensile nella sede del PIME di via Monte Bianco a Milano, radunati attorno a don Luigi Negri (allora docente di Teologia all’Università Cattolica; poi Vescovo di San Marino-Montefeltro ed infine Arcivescovo di Ferrara-Comacchio; è morto recentemente, il 31 dicembre 2021). Una sera ci fu un incontro ristretto a una ventina di persone, cui venne invitato uno scrittore che era diventato famoso da qualche anno per la pubblicazione di un grande romanzo, nel quale ripercorreva anche un bel po’ della storia d’Italia dal 1940 al 1974 attraverso la narrazione delle vicende di alcuni personaggi brianzoli. imparentati tra loro o conoscenti. Il libro era Il cavallo rosso e l’autore invitato era proprio Eugenio Corti.
Mi precipitai a comprare il volume, per leggerlo prima dell’incontro, al quale non volevo presentarmi impreparato. Impossibile: erano più di milleduecento pagine! Per fortuna l’incontro non prevedeva una preparazione e un dibattito, ma l’ascolto dell’autore ed un colloquio molto libero e informale sulle ragioni dello scrivere e il modo di scrivere che lui aveva scelto. Al termine dell’incontro, come tutti i presenti, andai per salutarlo personalmente. Quando mi presentai, mi disse: «Il figlio di Aldo? Ma che piacere!». Io non stetti a dirgli molto altro e, congedandomi, pensai solo una cosa buffa: “Sono alla sua altezza!” Non intendevo, ovviamente, quella di scrittore; mi ero semplicemente accorto che quell’ormone con le sopracciglia irsute che quasi mi aveva spaventato quando avevo otto anni, adesso era alto come me… quindi non potevo averne paura!
Sia come sia, lo incontrai ancora una vola; una circostanza simile. Era la primavera del 1988 e nella scuola media che dirigevo era in programma, per la festa di fine anno, ai primi di giugno, la premiazione della classe che aveva disegnato lo stemma della scuola, scelto da una apposita giuria fra tutti quelli proposti dalle varie classi. Mi venne in mente un’idea un po’ pazza: invitare Eugenio Corti a presentare brevemente la sua Storia di Manno uscita da non molto, per poi consegnarne una copia autografata agli alunni della classe vincitrice del concorso. Mi disse che ci avrebbe pensato, e di lasciargli il numero di telefono; qualche giorno dopo mi chiamò: voleva sapere per quanto tempo poteva parlare. «Mezz’ora?..», proposi.
Lo vedo ancora, arrivare con la sua Alfa Romeo color verdino metallizzato nel parcheggio fuori dalla scuola, entrare, presentarsi con semplicità, parlare per non più di venti minuti (meno del massimo possibile per una platea in gran parte formata da alunni non proprio compunti), far cenno di smetterla con gli applausi dopo il suo intervento, sedersi ad un banco per autografare le ventidue copie del libro, chiedendo i nomi di ciascun alunno e alunna.
Alla fine della semplice cerimonia, quando lo salutai, non sapevo che parole trovare per ringraziarlo per tanta disponibilità. Lui minimizzò, dicendo che gli avevamo fatto noi della scuola un grande favore, invitandolo, ed anzi ringraziò perché avevamo anche acquistato tutti quei suoi libri, «per i quali – aggiunse sorridendo – spero vi abbiano fatto un bello sconto!». Lui, scrittore già di fama (e già internazionale più che nazionale), così semplice e alla mano. Proprio indimenticabile.
La quarta conoscenza che ebbi di Eugenio Corti fu quella di un amico (ho un po’ di timore a dirlo, ma è cosi). Dopo quella sua venuta a Buccinasco lo incontrai di nuovo poche volte. La prima fu nel giugno del 1998 ad Albiate, alla cerimonia finale della seconda edizione del “Premio internazionale Vittorino Colombo” istituito nel 1997 e nella cui giuria fino al 2007 si ritrovarono assieme Eugenio Corti e mio papà Aldo (l’uno perché scrittore di fama, l’altro perché annoverato tra i notabili del paese). In quell’occasione con me c’era il mio primo figlio. C’era un banco-vendita con numerosi libri, soprattutto dedicati al premiato: Boutros Boutros-Ghali, già Segretario dell’ONU. C’erano anche dei libri di Corti; acquistai per me Il fumo nel tempio e per mio figlio la quarta edizione (1997) de Gli ultimi soldati del re; gli chiedemmo se poteva firmarceli e a mio figlio scrisse: «A Giovanni Zelioli con amicizia» aggiungendo a voce che ciò valeva per lui, per il padre e per il nonno.
Lo incontrai ancora in tre edizioni del Meeting per l’amicizia tra i popoli, che dal 1980 si tiene ogni anno in agosto a Rimini. La prima volta, il 25 agosto 1999, ero stato ad un incontro a lui dedicato: «La memoria forza della storia: omaggio a Eugenio Corti». Al termine andai a salutarlo; avevo con me la copia della sua prima biografia scritta da Paola Scaglione, I giorni di uno scrittore. Incontro con Eugenio Corti (1997) e gli chiesi se poteva scrivermi una dedica; la vergò con la sua calligrafia minuta: «Al preside Marco, figlio del mio amico Zelioli, con la più viva cordialità». Mi sentii onorato, così come la seconda volta (il 20 agosto 2002), quando lo incontrai con mia moglie Simona, ed autografò, dedicandolo ad entrambi, il secondo libro su di lui scritto dalla Scaglione, Parole scolpite: i giorni e l’opera di Eugenio Corti (2002), della quale c’era appena stata la presentazione pubblica con interventi dell’Autrice, di don Luigi Negri, del cantautore Claudio Chieffo e del poeta e scrittore Davide Rondoni.
La terza volta fu nell’agosto del 2005 ed ero col terzo dei miei tre figli. Eravamo appena usciti dalla Libreria del Meeting, dove avevo acquistato alcuni libri, tra cui il suo recente romanzo Catone l’Antico. Vedendolo tra la folla, gli andai incontro e lo salutai; lui era con sua moglie Vanda; mi riconobbe subito. Gli chiesi se per favore poteva autografare il libro. Mi disse: «A un amico non si rifiuta mai un favore» e aggiunse che la dedica questa volta era per mio figlio; cosi scrisse: «A Carlo, figlio di Marco, e nipote di Aldo, tutti miei amici molto cari, con viva cordialità». Come dimenticarlo?
Non lo rividi più di persona. Andai al suo funerale, 1’8 febbraio 2014; c’era un’enorme folla, silenziosa e partecipe. Ebbi poi modo di rivedere la signora Vanda alla presentazione, il 27 ottobre 2015 alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, di lo ritornerò. Al termine la salutai con poche parole, perché era attorniata da molte persone, e le consegnai in una busta la copia della poesia A Eugenio Corti, che scrissi il giorno dopo la sua morte (in M. Zelioli, Come spuma di onde, Ed. Itaca, 2017, p. 182). Non mi aspettavo che, qualche giorno dopo, lei mi telefonasse per ringraziarmi. Indimenticabile anche questo.
Certamente Eugenio Corti è stato uno scrittore un po’ in controtendenza, nell’Italia del secondo Novecento e del primo scorcio del nuovo secolo, attaccato com’è al fondamento della fede cristiana come fondamento anche della sua arte. Pochi, infatti, potrebbero parlare del proprio modo di scrivere con parole come queste, che il Nostro espresse ormai novantenne: «Vedere l’assoluto nel relativo, la realtà specchio di Dio: se è rispettata questa impostazione nel rendere la realtà viene fuori l’opera d’arte» (intervista concessa a Enrico Negrotti, pubblicata sul quotidiano “Avvenire” il 19 gennaio 2011).
Questo pone Eugenio Corti, a mio parere, trai pochi autori ‘incontemporanei’ del panorama letterario, come Charles Péguy, per fare un solo nome: presente al suo tempo ed in esso pienamente immerso, ma senza farsi determinare dalla mentalità corrente, perché ancorato a quel “di più” che ogni essere umano in fondo cerca, più o meno consapevolmente: la Verità – che non è un sentimento, ma il fondamento ultimo dell’essere, cioè Dio stesso.
Ammirevole più che ammirato, certamente grande. Così è stato Eugenio Corti, che ringrazio Dio d’aver conosciuto di persona, anche se fuggevolmente.
(Marco Zelioli, 03/03/22, Alcione 2000)