L’avventura di Eugenio Corti in Francia

Vladimir DimitrijevicIl 15 novembre 2010 la Provincia di Monza e Brianza organizzò presso la Villa Reale di Monza il convegno internazionale «Cantare l’universale nel particolare. L’epica nell’opera di Eugenio Corti». Tra i relatori, Vladimir Dimitrijevic, editore di Corti in lingua francese e fondatore della casa editrice L’Age d’Homme, prematuramente scomparso in un incidente stradale il 28 giugno 2011. Pubblichiamo ampi stralci del suo intervento che rivela le origini della fortuna editoriale di Corti in Francia. La versione integrale è stata pubblicata nella plaquette «Confiance. La fiducia. L’avventura editoriale di Eugenio Corti in Francia» a cura di Paolo Pirola per l’Associazione culturale Brianze.

Il mondo è piccolo e immenso, ma ci riconduce sempre ad alcuni segnali che si ricevono nella vita. Oggi, dopo tanti anni, sono ritornato alla Stazione ferroviaria di Milano dove ho patito il primo freddo e la prima fame della mia vita, non a causa degli italiani, ma a causa del destino che mi ha cacciato dal mio Paese: l’ex Jugoslavia. Avveniva cinquantasei anni or sono; avevo diciannove anni e mi lanciai in quella che pensavo dovesse essere la mia vocazione. Lo pensavo già quando ero nel mio Paese: testimoniare ciò che avevo visto, ciò che avevo subìto, con un desiderio forte ed essenziale di capire ciò che avveniva dall’altra parte dell’Europa. Era un sogno, all’epoca, per un ragazzo della mia età. Eugenio Corti è partito per la Russia per capire che cosa avveniva in quel «paradiso» che si stava attuando in Russia. Io sono andato via per vedere se esistesse un altro paradiso al di fuori da quello promesso nel mio Paese.
Da quel momento ho cominciato ad apprendere la lingua francese; sono diventato operaio, libraio, e poi, guardando i cataloghi delle edizioni francesi, ma anche di quelli degli altri Paesi occidentali, ho costatato una disinformazione assolutamente straordinaria che permaneva anche qui; ho costatato che i grandi scrittori che avevo conosciuto non erano stati tradotti; al contrario, autori mediocri, purché fossero di regime, figuravano nei cataloghi francesi, italiani e anche americani. Allora mi dissi: «Ecco perché sono venuto in Occidente».
Fondai allora la casa editrice L’Age d’Homme, che attualmente vanta in catalogo 4.100 titoli.
Ho reso omaggio alla Svizzera, alla Francia e naturalmente difendo il nostro mondo cristiano, il mondo nel quale mi trovo assolutamente a mio agio: da nord a sud, da est a ovest, quel mondo in cui esiste la fiducia che mi animava da giovane. Ritornerò a questa parola fondamentale: «fiducia».
Ho pubblicato le opere di molti dissidenti, tra cui, Zinoviev, Maximov e molti altri che non sto a elencare. Ho pubblicato anche Vita e destino di Grossman che assomiglia, per l’ampiezza della testimonianza, a quello del maestro Eugenio Corti. Ognuno di questi libri è stato per me, che venivo da un substrato di civiltà errato, un inizio per costruire il mio mosaico: il mosaico della lotta contro il terrore comunista o stalinista, che all’epoca non si osava neppure nominare; e ho scoperto con estremo dolore che due o tre generazioni di scrittori russi erano state completamente ignorate o soffocate.

Respirare con entrambi i polmoni
Ero molto giovane, ma già consapevole che la grande pleiade degli scrittori russi – da Florenskij a Bulgakov – si era recata, in un certo periodo della propria vita, a Parigi. Erano però stati assolutamente ignorati; per darvi un esempio, assolutamente penoso, l’ultimo dizionario dell’Enciclopedia Universale di filosofia di Oxford menziona unicamente tre filosofi ortodossi russi. Personalmente sono cristiano ortodosso e penso che senza questo polmone non possiamo respirare come si deve. Abbiamo un pneumotorace che blocca uno dei nostri polmoni eppure siamo convinti di respirare bene. Ebbene no: dobbiamo respirare con entrambi i polmoni. Bisogna avere la libertà di respirare e di dire chi siamo.
La mia intenzione era quella di capire che cosa avveniva in Occidente, ma anche di capire che cosa avveniva nel mio e negli altri Paesi. Mi mancava una tessera luminosa e questa tessera era il libro di Eugenio Corti, Il Cavallo rosso. Perché? Perché è un libro di un’oggettività celestiale. Perché rappresenta gli uomini così come realmente vivono. Non rappresenta un uomo preistorico. Aggiungerei una sfumatura: i romanzi storici assumono come protagonisti, di norma, i grandi personaggi storici. Solženicyn ed Eugenio Corti hanno conferito all’uomo reale la bellezza di vivere, hanno fatto riferimento alla «fiducia». Eugenio Corti mi ha restituito questa fiducia, che per me era in gran parte oscurata dall’apocalisse che vedevo intorno a me.
Vorrei precisare in quale modo è avvenuto l’incontro con l’opera di Eugenio Corti. Nel 1985 sono stato invitato, insieme ad altri dissidenti dell’Est, al Meeting Rimini. C’erano molti giovani accanto a me che si interessavano all’opera di Maximov, di Bulgakov, di Ionesco e di alcuni autori polacchi che erano con noi. E lì vidi esposti numerosi volumi de Il Cavallo rosso. Chiesi allora con curiosità di che cosa si trattasse: «Di un romanzo straordinario», così mi venne detto. Dato che sono di una curiosità quasi traumatizzante, ho letto immediatamente il libro per sapere di che cosa si trattasse e ho avuto l’impressione, come spesso mi accade, che questo libro fosse stato scritto per me.
In generale, penso che i libri che amo siano lettere che gli autori, siano classici, antichi o moderni poco importa, scrivono per me. Un’altra particolarità: quando ho avuto il libro tra le mani ho pregato Dio perché l’autore avesse le forze necessarie per resistere fino alla fine, perché le mode, le ideologie fanno sì che, spesso, gli autori abbiano, per così dire, una fine che accontenti un po’ tutti. La natura umana è debole e le propagande sono molto efficaci e potenti.
I libri come Il Cavallo rosso, come quelli di Zinoviev, di Grossman o di Aleksander Wat, un altro autore polacco meno conosciuto, che dà una testimonianza straordinaria sul nostro tempo, non hanno ceduto. Al contrario, hanno saputo resistere fino alla fine. Quando tornai a Losanna, mi capitò di sfogliare un libro dedicato alla letteratura italiana. Il traduttore era François Livi. Nel quadro generale di questo manuale trovai scritto che esistevano due romanzi eccezionali, e uno dei due era proprio Il cavallo rosso di Eugenio Corti. Mi dissi: «Le vie del Signore sono infinite».

Non soltanto «Il cavallo rosso»
Dunque è questo il tessuto connettivo che spiega la traduzione francese del romanzo. Ho avuto la fortuna, poi, di incontrare a Losanna il nostro maestro Eugenio Corti. Iniziò così l’avventura francese del Cavallo rosso, che è stata molto significativa, molto profonda. Si parla sempre del Cavallo rosso, ma a me piacciono molto anche quei romanzi per immagini attraverso i quali Eugenio Corti ha, in fondo, inventato un nuovo genere: il romanzo che «parla» attraverso le singole scene. Ecco perché non vorrei legare troppo l’opera di Eugenio Corti a una tradizione che è quella di Omero, di Tolstoj, di Solženicyn. Quando si legge Catone l’antico, che apprezzo moltissimo, o i racconti di guerra, o La terra dell’indio, ci si rende conto immediatamente che queste realtà non sono state viste con gli occhi normali di uomini normali, ordinari come noi. Noi siamo tutti calati in una sorta di energia quotidiana. Eugenio Corti ha una visione del tutto diversa: egli arresta, in un certo senso, il corso del tempo. È cinema, ma è molto meglio del cinema; è teatro, ma è meglio del teatro; è un cibo, ma è meglio del cibo. È la profondità storica che proviene da una scienza della verità che poteva essere generata unicamente da un’esperienza come la sua.
Nel momento in cui Corti si è impegnato nella sua vita, tutto è confluito nella sua opera. Perché uno scrittore può avere un grande talento, ma occorre che vi sia un momento opportuno, un kairòs, tanto più che la sua opera ci riguarda, perché se non riacquistiamo nuovamente quella fiducia, quell’equilibrio che sono tipici di una società cristiana, normale ed equilibrata, di cui parla Il Cavallo rosso, se non recuperiamo questi valori, ci esponiamo a crisi molto penose e molto dolorose.

Il premio Nobel l’ha già ricevuto
Eugenio Corti, dipingendo e tratteggiando l’uomo nella sua totalità, offre gli strumenti per uscire dalla crisi, il modo per uscire da questa civiltà fatta unicamente di cifre, unicamente celebrale, che è magnifica, straordinaria, ma che non ha una meta: lo scopo, la meta ultima viene data dal cuore. Il cuore può dire di no agli aspetti negativi della nostra civiltà.
Mi piacciono molto gli autori che sono dei geni rappresentativi dei loro Paesi e della loro città, della loro regione. Si parla di un premio Nobel a Corti, ma praticamente è già stato detto tutto. Gli scrittori devono essere in armonia con il loro suolo natale, in armonia profonda con la loro religione, è il motivo per cui, a mio parere, il premio Nobel è già stato attribuito a Eugenio Corti.
Sempre a proposito di Nobel, ci fu una frase che in passato mi ha colpito molto: lo scienziato Pavlov ricevette il Nobel nel 1904, non per la letteratura naturalmente, ma per le sue ricerche scientifiche relative al sistema nervoso e al riflesso condizionato. «Grazie per avermi onorato con questo premio», disse rivolgendosi ai membri della giuria, ma poi aggiunse: «Avete onorato le mie ricerche, ma sappiate che l’uomo comincia laddove finisce il riflesso condizionato».

(Vladimir Dimitrijevic, luglio/agosto 2014, Studi Cattolici)