Scritti di Eugenio Corti – Sul tram di Sesto

Brano tratto da Il cavallo rosso – selezionato nel 2008 da Eugenio Corti per i lettori di questo sito.

Era in arrivo la primavera: lo si avvertiva anche sul vecchio tram articolato che portava beccheggiando – e sui rettilinei più lunghi come caracollando – Michele a Milano.

I binari attraversavano tra Monza e Sesto San Giovanni, e tra Sesto e Milano, una pianura periferica cosparsa qua e là di rottami e rifiuti, con vari riquadri di terreno incolti, coperti da irsute popolazioni d’erbacce morte, uccise dall’inverno. Questo era l’ambiente che più d’ogni altro, in Italia, richiamava alla mente del reduce la frusta desolazione dei lager. “Con quei mucchietti di stracci sparsi tra baracca e baracca: bisogna che non li dimentichi nel libro. Appena fuori dei reticolati c’era questa stessa erbaccia, come la chiamava quel tale di agraria? artemisia. I soldato lombardi invece la chiamavano sancarlino, a romperla quand’è verde dà quell’odore così forte… Sarà bene che ricordi anche questa erbaccia nel libro.” Il giovane si tolse di tasca una matita e un foglio ripiegato su cui c’erano già degli appunti, e scrisse: ‘Stracci per terra nel lager – sancarlini ed erbacce, desolazione ecc.’

Una donna di mezz’età, seduta davanti a lui con la borsetta in grembo, seguì incuriosita la sua manovra cercando di non darlo a vedere; gli altri passeggeri pensavano ai casi loro. Il giovane rimise carta e matita in tasca e tornò a guardar fuori. S’accorse che tra le erbacce morte e allettate spuntavano di già quelle nuove, d’un color verde tenero in mezzo a tutto quel grigiore. “Guarda, il miracolo della primavera, anche qui in periferia, come dappertutto! Bisogna riconoscere che la natura il suo dovere non manca di farlo, che non viene meno ai suoi compiti. A sciupare le cose, qui come dovunque, sono puntualmente gli uomini.” Rifletté: “Ecco un’altra dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, del guasto che l’uomo si porta dentro. Davvero se non ci si rifà al precedente del peccato originale (per oscuro che esso sia: chissà cos’è successo in realtà!) mai e poi mai si potrebbe capire il comportamento umano.” In lui, ch’era poeta, sulle riflessioni andò tuttavia prevalendo – rapidamente – il senso della primavera in arrivo: entro poche settimane – si disse – sarebbero spuntate le viole, le quali a Nova, su certe prode esposte a mezzogiorno, apparivano già a metà marzo. Che festa, quand’era bambino, le prime viole! Le raccoglieva infilando le piccole dita tra le erbe secche, ne metteva insieme due o tre, e le portava gioioso alla donna attempata che lo accudiva: << Senti che buon odore, Ersilia. >> “ E se quest’anno facessi una scappata a Nova, a raccogliere le viole per Alma?” L’Ersilia se le appuntava con un sospiro al petto, le poche violette dai gambi ineguali che lui bambino le portava (quante cose in quel sospiro, a pensarci adesso!) Ad Alma le viole starebbero bene nei capelli, attorno alla testolina nitida: “Messe a corona: così per esempio, oppure in quest’altro modo, o in quest’altro…” Il giovane vedeva con gli occhi della mente la testa di lei ornata nei diversi modi: se la prospettava con una tale forza d’immaginazione da averla quasi realmente davanti. Per qualche istante non lo toccava più il grigiore delle periferie, non vedeva più la gente affollata nel tram, la dimessa gente popolana di sempre: sul lungo tram articolato correvano, insieme con lui, Almina e la primavera.