La terra dell’indio, narrare per immagini

La terra dell'indioCorti dei miracoli. A settantasette anni suonati lo scrittore cattolico presenta nelle librerie un nuovo romanzo, La terra dell’Indio (Ares, lire 32.000). Un po’ come Michelangelo, che dipinse la Cappella Sistina dopo aver doppiato gli ottant’anni, così Eugenio Corti lancia la sua sfida, a dispetto del tempo che passa e dei capricci del suo vecchio cuore, che proprio nelle scorse settimane ha manifestato qualche stanchezza.

L’hanno rimesso a nuovo a Monza i medici della cardiologia del San Gerardo, che Corti definisce “straordinari”.

Quest’uomo, dal portamento signorile e dal carattere generoso e cordiale tipico della sua terra, avrebbe potuto benissimo crogiolarsi gustoandosi il trionfo della sua opera più nota, quel Cavallo rosso giunto a un successo strepitoso, consacrato dalla tredicesima edizione e dai giudizi entusiatici della critica letteraria francese. Avrebbe potuto consegnarsi in tutta tranquillità alla storia della letteratura, che gli renderà giustizia dei silenzi e delle censure attuate dalla cultura dominante marxista e anticristiana.

E invece no: dal suo buen ritiro di Besana, nell’antica villa di famiglia che domina il panorama davvero unico delle colline di Brianza, Corti scrittore affida ai suoi lettori una nuova fatica. Ha prevalso forse il bisogno insopprimibile di comunicare, di tirar fuori quel daimonion socratico, quell’estro creativo che perseguita l’artista vero, come capitava al giovane Corti già sui banchi di scuola, sorpreso dall’insegnante a scrivere, di nascosto, avventure fantastiche ispirate a Omero, ai classici. Ha prevalso, è certo, il desiderio di riprendere il dialogo con i suoi amici lettori, quei lettori che a centinaia ogni anno scrivono, ringraziano, chiedono spiegazioni, parlano con il loro Corti.

Questo La terra dell’Indio è un libro che sfiora le cinquecento pagine, e che stupisce gli appassionati di Corti perché, con arditezza pari al suo ingegno, lo scrittore ha battuto strade completamente nuove.

Nella scelta del luogo dell’azione e dei protagonisti, innanzitutto: siamo in America Latina, nel 1700, immersi nell’epopea dei missionari gesuiti impegnati a portare Cristo e la civiltà agli indigeni.Una pagina poco nota della storia dell’evangelizzazione, che soltanto il film Mission, anni fa, aveva tentato di raccontare al grande pubblico, per altro in termini fantasiosi e inesatti. Ma in questo romanzo Corti ha sperimentato, e qui sta la sua scommessa, anche un nuovo linguaggio: quello della narrazione ad immagini.

“La terra dell’Indio – spiega Giuseppe Romano nella prefazione – è un romanzo che infrange l’etichetta dei romanzi. Sconcerta il lettore presentandosi con un aspetto inconsueto, simile a una partitura teatrale o a una sceneggiatura cinematografica. Alla voce narrante subentrano notazioni di regia. La sequenza dei capitoli è tradotta in scene. Per dirimere eventuali perplessità conviene intraprendere immediatamente la lettura. Se volete capire e amare La terra dell’Indio, un nuovo grande romanzo, leggetelo subito, tranquillamente, e per intero”.

E qui ritorna uno degli ingredienti fondamentali della poesia di Corti: la capacità di saper coniugare il nuovo e l’antico: l’attenzione a un mondo in cui l’immagine diventa strumento di comunicazione fondamentale, e la fedeltà alla Chiesa, alla tradizione, a quella cultura cristiana imbevuta di Vangelo che si respira tanto nel Cavallo rosso quanto nelle selvagge ma bellissime terre del Paraguay, dove tutti pregano, lavorano e vivono all’ombra della croce. E dove le donne salutano il viandante con la formula “ave Maria purissima”.

“Per qualche anno – ci racconta lo stesso Corti – ho lasciato nel cassetto questo racconto, perché ritenevo che la contemporanea uscita sugli schermi di Mission avesse reso inutile la mia fatica. Poi ho capito che si trattava di cose molto diverse: il mio libro ripercorre centocinquant’anni di storia, il film un anno e mezzo.

Spero che il romanzo serva a far conoscere l’esperienza originalissima delle reductiones, i trenta villaggi fondati dai missionari gesuiti intorno al nucleo della chiesa e del collegio”.

Quattro anni fa Corti si è recato sul posto, visitando quello che resta delle reductiones, attraverso le foreste del Paraguay, dell’Argentina e del Brasile. Un Corti esploratore sulle tracce di quella che egli stesso non esita a definire “sotto il profilo estetico una delle più belle pagine nei duemila anni di storia del cristianesimo”.

Insomma La terra dell’Indio potrebbe essere un’ottima idea regalo che coniuga, cosa rara, il gusto dell’avventura con la difesa della verità e del Vangelo. Corti dei miracoli, che già lavora – “due ore al giorno, sennò i medici si arrabbiano” – a un nuovo romanzo. Protagonista: Catone maggiore.

(Mario Palmaro, 17/12/98, Il Cittadino)