Il realismo cristiano di Eugenio Corti

Premio Eugenio Corti 2020Lo scorso 3 febbraio si è svolta presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano la cerimonia della terza edizione del Premio Internazionale Eugenio Corti: per la sezione riservata alle tesi di laurea sono stati proclamati vincitori ex aequo Dario Romano, autore della tesi «L’Antico e i moderni: tra i libri di Eugenio Corti per il suo Catone», e Claudia Sardo, autrice della tesi «“Rispettare in tutto e per tutto la verità”: il realismo cristiano nel Cavallo rosso di Eugenio Corti». Presentiamo di seguito un estratto del lavoro di Claudia Sardo (il sunto della ricerca di Dario Romano è stato invece pubblicato nel n. 700 di Studi cattolici). Nella foto: Eugenio Corti ritratto da Davide Coltro.

La critica ha spesso inserito la scrittura di Eugenio Corti all’interno del realismo cristiano. Tuttavia, non é così semplice dare una definizione chiara ed esaustiva di tale impronta stilistica. Molti interpreti sono ricorsi al termine «realismo» per riferirsi a un modo di rappresentare la realtà quotidiana in tutte le sfaccettature, come una perfetta fotografia. La domanda che ci si potrebbe porre è come il realismo possa andare a braccetto con l’aggettivo «cristiano». La novità di Corti risiede proprio nel creare un connubio tra due sfere, quella della concretezza e quella della spiritualità, che apparentemente sembrano inconciliabili. Nella sua ricerca c’è sempre una grande attenzione ad aderire alla realtà ed è proprio in questa che si avverte la presenza della cristianità. L’elemento cristiano non viene in qualche modo aggiunto a posteriori, sovraimposto ai fatti narrati, ma è intrinseco al testo. Per Eugenio Corti l’elemento cristiano si mescola al quotidiano.

La presenza divina si manifesta sulla terra nella vita di tutti i giorni e nella concretezza degli eventi. Per questo, a buon diritto, si può parlare di realismo cristiano. Per scorgere tale realismo basta osservare il lessico dell’Autore, spesso scarno e crudo, che non è indice di mancanza di raffinatezza, ma al contrario meticolosa attenzione alla realtà e scrupolo per la miglior resa. Una chiave di lettura illuminante per comprendere il realismo cristiano di Corti si trova nell’incipit del diario della ritirata di Russia, I più non ritornano: «La mia maggior preoccupazione fu di rispettare in tutto e per tutto la verità: anche nelle sfumature». Da queste poche parole si avverte la necessità di riportare in maniera esatta i fatti e le situazioni di cui si è fatta esperienza, anche se spesso le impressioni possono sembrare «pesi morti». Il lettore può facilmente immaginare Corti nel proprio studio seduto alla scrivania davanti alla finestra, che si apre sull’anfiteatro delle Prealpi, a rigirare tra le dita una delle sue matite accuratamente temperate in cerca delle parole perfette per esprimere la verità sperimentata. Corti ha sempre affermato che il suo compito, la sua missione nella vita terrena, era di scrivere, di essere un cantastorie. Come spiegò alla sua biografa Paola Scaglione: «Ogni essere umano, anche il più umile, è chiamato dal Signore a svolgere un determinato compito: da sempre io mi sono sentito chiamato a raccontare» (Paola Scaglione, Parole scolpite – I giorni e l’opera di Eugenio Corti, Ares, Milano 2002, p. 45).

Per Corti la missione del cantastorie non si esaurisce nella bellezza della resa del racconto, ma implica una narrazione strettamente ancorata alla verità. È una battaglia: e infatti nelle sue narrazioni scorgiamo una tensione continua verso questo orizzonte. Corti scrive partendo da ciò che è oggettivo, concreto, visibile da tutti e di cui non si può dubitare. In questo modo si comprende la sua attenzione ai dettagli, sui particolari che non sono mai fini a sé stessi. Sono il punto di partenza per intuire il trascendente: solo così si riesce a scorgere il perfetto nesso tra verità e realtà.

È però necessario distinguere il concetto di verità da quello di realtà, spesso usati come sinonimi nel linguaggio quotidiano ma profondamente diversi. Per riuscire a dare una spiegazione dei due concetti si può ricorrere alla metafora del piano cartesiano per indicare il mondo di cui fa esperienza l’uomo. L’asse delle ascisse rappresenta tutto quello che si trova nel mondo terreno, ciò che si può vedere, annusare, ascoltare, toccare e, se si è scrittori, raccontare e descrivere. Questo asse ha un’estensione orizzontale sul mondo e comprende tutto ciò che è misurabile nel tempo e visibile nello spazio; pertanto ogni elemento posto su questo asse ha una sua durata e una sua estensione e può essere conoscibile attraverso i sensi. L’analisi di questo asse considera sia elementi positivi, posti a destra dello zero, sia negativi, posti a sinistra; in entrambi i casi gli elementi sono osservabili e descrivibili. Si potrebbe dire che in letteratura, fintanto che l’analisi del mondo si limita a valutare il solo asse delle x, si ottengono pagine realistiche, alle volte di indubbia bellezza e, quando si valuta questo asse, si deve parlare di attenzione alla realtà.

Tuttavia, come in aritmetica non ci si può accontentare di prendere in esame solo i punti che si trovano sull’asse delle ascisse, così in letteratura spesso si è avvertita l’esigenza di spostare l’attenzione sull’asse delle ordinate.
Contrariamente all’asse delle ascisse, l’asse delle ordinate valuta tutto ciò che non è sperimentabile attraverso i sensi e l’esperienza. I suoi elementi non possono essere osservati con occhio umano né è possibile descriverli, se non ricorrendo a paragoni con elementi conoscibili e concreti (e che dunque fanno parte dell’asse delle ascisse) che inevitabilmente sviliscono e non rendono giustizia. Tali elementi non conoscono le dimensioni dello spazio e del tempo e per questo non possono essere ridotti in descrizioni.

Se l’asse delle ascisse si snoda orizzontalmente nel mondo terreno, l’asse delle ordinate percorre la traiettoria verticale. Si crea così un collegamento tra un mondo piano e orizzontale, luogo dell’agire conoscere dell’uomo, e l’Altro. Quando si prova a valutare questo asse si deve parlare di ricerca della verità. Per semplificare, quando si studia il solo asse delle ascisse, si parla di realismo; quando si sonda l’asse delle ordinate, di spiritualismo. L’audace novità di Corti consiste nel rompere questo schema, nell’andare al di là di un asse o dell’altro: il suo lavoro è il frutto del congiungimento dei punti di entrambi gli assi. Possiamo dire così che la sua scrittura è un collegamento tra terra e cielo.

Quel punto di incontro tra cielo & terra
Per questo si può parlare di realismo cristiano che considera la realtà del mondo e la verità dell’Altro. È necessaria una precisazione: realtà e verità benché provengano da assi differenti non sono però in contrapposizione, ma risultano inscindibili per il cristiano, anzi, una acquista senso attraverso l’altra: quello che rende ciò evidente e senza equivoci è l’incarnazione di Dio e il suo abitare nel mondo. Riprendendo la metafora del piano cartesiano, il realismo cristiano scaturisce dall’intersezione dell’asse delle ascisse e di quello delle ordinate. Facendo così intersecare gli assi si viene a creare un piano, ossia un insieme di punti ognuno dei quali contiene in sé una determinata correlazione tra le due dimensioni. Questo piano metaforico non è altro che lo spazio attraverso cui si muove Corti: ogni punto rappresenta un incontro tra mondo terreno e mondo ultraterreno, e questi due mondi non vengono mai considerati indipendenti l’uno dall’altro. L’analisi di Corti include sempre verità e realtà, eppure quest’ultima non è sempre facile da comprendere e da accettare: per questo in tutta la sua opera Corti ha ribadito sulla necessità di porsi virilmente di fronte alla realtà, anche la più difficile: è l’unico modo di cui l’uomo può avvalersi per conoscersi e migliorarsi.

Così si spiega il nudo realismo delle storie di guerra di Corti, soprattutto nei passi che ricordano la Ritirata e la prigionia in Russia; così si comprende la rievocazione dei demoni di quei luoghi, gli incubi, i particolari allucinanti. L’attenzione ossequiosa alla realtà si declina in una scrittura altrettanto rigorosa e precisa: anche le scelte linguistiche sono al servizio della verità. Come ha ricordato Cesare Cavalleri, la scrittura di Corti è sorvegliatissima e «funzionale al racconto, alle cose» («Eugenio Corti e tre schede», Studi cattolici, n. 403, p. 552).

Il termine «realismo», come abbiamo visto prima, non esaurisce e non rende giustizia al disegno complesso di Corti, la cui analisi «chirurgica» della realtà è svolta solo a un fine più elevato. E’ infatti partendo dal particolare che si può giungere all’universale: solo calandosi totalmente nella realtà, si ottiene una scrittura che rappresenta l’universale attraverso il particolare. Si intreccia, perciò, il realismo pragmatico a uno sguardo sul trascendente che viene svelato dalla luce della fede cristiana. Proprio per la presenza di questa luce rivelatrice si può parlare di realismo cristiano. L’autore stesso afferma l’impossibilità di evitare la realtà se si è cristiani: «Sono realista per costituzione strutturale, e sono particolarmente tenuto ad esserlo in letteratura, dato che compito dello scrittore è anzitutto rendere la realtà. Se inoltre, come noi cristiani crediamo, in un determinato momento della storia di Dio, cioè il creatore dell’universo, si è fatto uomo ed è sceso sulla piccola terra in mezzo agli uomini, l’intera storia degli uomini non può che esserne stata ed esserne influenzata […]. Come potrebbe lo scrittore fare astrazione da una realtà simile? Anche questo enorme accadimento, dunque, lo ancora alla realtà». (Paola Scaglione, Parole scolpite, cit., p. 50). Dunque, uno scrittore cristiano non può non partire dalla realtà di cui fa quotidianamente esperienza. L’elemento cristiano scaturisce dal quotidiano, dalle piccole cose, dai luoghi conosciuti, dalle mansioni abituali, dai gesti semplici dei personaggi del romanzo, che vengono fissati in quadri perfetti e realistici. La scrittura di Corti, dunque, è realista perché non crea isole felici di evasione, ma perché racconta l’esperienza concreta.

E naturalmente la sua ricognizione non può eludere il tema del male. Persino nelle descrizioni delle cascine brianzole, Corti mette in luce la presenza del male: possono essere luoghi di produzione e di pace ma anche di violenza e sopraffazione.
Nella battaglia tra il bene e il male, l’autore compie una scelta: non indugia a lungo sulla descrizione del male e della perversione, ma si sofferma sul bene, che vince la lotta. A testimoniare la certezza della vittoria del bene sul male è lo stesso Corti che in più di interviste dichiara di aver avuto più volte l’impressione della comparsa di San Michele arcangelo quando la forza del male pareva invincibile. Secondo l’autore, infatti, in aiuto dell’umanità in pericolo giunge l’Arcangelo che sa pesare, con la propria bilancia, il bene e il male e, munito di spada, tiene a bada il drago simbolo del male.
In questo modo si comprendono gli elementi cari alla poetica di Corti: i frammenti di paradiso nell’inferno del reale, gli aiuti della Provvidenza, la presenza tangibile del Padre quando ci si sente perduti. Corti sapeva che per raccontare la verità non era sufficiente una lettura meticolosa della realtà, ma sentiva di aver bisogno di un aiuto superiore. In un colloquio con Paola Scaglione ammetteva di avere un sostegno dall’alto: «Quando scrivo ho, a volte molto forte, la percezione dello Spirito che soffia dove vuole di cui parla il Vangelo riferendosi all’ordine soprannaturale» (Paola Scaglione, Parole scolpite, cit., p. 53).

Infine, ad avvalorare la necessità della presenza dello Spirito per la scrittura, possiamo notare che Corti depone la penna quando comprende di non poter più fare esperienza di quanto narra. C’è dunque un limite per il cantastorie che è rappresentato dal fatto di essere uomo. Per questo Corti interrompe la propria scrittura davanti al mistero della morte, nella pagina finale del Cavallo rosso. Dopo diversi tentativi di descrivere il paradiso dove il personaggio di Alma verrà accolto, desiste.

Non può raccontare del paradiso, di cui ha solo un’intuizione, di cui non ha fatto esperienza e con una scelta coerente si arresta proprio alle soglie del Paradiso. La decisione di interrompere la narrazione all’entrata del paradiso mostra l’adempimento del compito di cantastorie per il Regno che l’autore si è assunto: egli accompagna passo dopo passo il lettore in un viaggio costruttivo fino alle porte del Regno di Dio. Fino al termine di questo viaggio, fino all’ultima pagina è rimasto fedele al proprio proposito e la scelta di questa chiusura sembra sigillare davvero il suo realismo cristiano.

(Claudia Sardo, giugno 2020, Studi Cattolici)