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Gli ultimi soldati del re

«Gli ultimi soldati del re»

Per me l’opera letteraria è paragonabile ad un arco che si sostiene su due colonne: la verità e la bellezza. Se una di queste colonne viene meno, l’opera entra in crisi. L’arte è per la vita: non si scrive per il gusto di scrivere o soltanto perché chi legge provi piacere, ma si deve avere come fine ultimo il Bene. Naturalmente anche l’appagamento estetico è fondamentale.

Eugenio Corti

A dieci anni dalla morte di Eugenio Corti, l’attualità culturale e politica de Il Cavallo rosso

La notte di Natale del 1942 Eugenio Corti, Sottotenente di artiglieria (trentacinquesimo corpo d’armata, in ritirata dal fronte del Don), vive il momento più drammatico della sua esistenza: è certo che la fine sia vicina. Allora fa una grande promessa alla Santa Vergine, cui era devotissimo: se mi concedi di tornare a casa, io informerò tutta la mia vita al secondo versetto del Paternoster, diventerò scrittore per il regno, per la gloria di Dio! Da quella notte fino alla morte, avvenuta il 4 febbraio 2014, la scrittura è diventata la sua vocazione e il suo mestiere

Giuseppe Cederle

Dicembre ’43, l’Italia “d’oro” di Cederle e dei suoi amici

La nobile figura di Cederle ha ispirato Eugenio Corti per quello che è uno dei personaggi più belli del Cavallo rosso e cioè Manno. In una delle pagine più epiche e commoventi del Guerra e pace italiano, Corti così descrive la morte di Manno, ferito a entrambe le mani durante l’assalto a quota 343.

Eugenio Corti

La stagione all’inferno di Eugenio Corti

I più non ritornano è una testimonianza e un memoriale: Corti vuol strappare alla dimenticanza questi brandelli di storie individuali e collettive. Non potendo dar loro sepoltura, egli vuole perpetuare il ricordo dei suoi compagni morti: ci sono in questo libro figure indimenticabili come quella di Zoilo Zorzi, il giovane ufficiale veneto che prende congedo con eleganza dai suoi commilitoni e dalla vita: Corti vuol salvare lui e gli altri da quell’altra forma di morte che è l’indifferenza.

Gli ultimi soldati del re

Il buon soldato

Dire guerra, in ultima analisi, è dire morte, e di solito morte nel più tragico marciume. Non si tratta però di un fenomeno liquidabile in due parole. Perché è molto complesso, e tra l’altro esalta nelle persone coinvolte sia i difetti (la viltà, l’egoismo più spietato, la crudeltà, l’ignobiltà), sia le doti (il disinteresse, l’eroismo, lo spirito di sacrificio, l’abnegazione). Offre perciò possibilità incomparabili di analisi dell’animo umano. Dunque, mentre consiste in un marasma di sozzure assolutamente inimmaginabili per chi non l’ha sperimentata, la guerra rende anche migliori i migliori; nonché quelli che, trovandocisi, non rifiutano di portare la loro parte di peso, fino eventualmente al sacrificio.