Scritti di Eugenio Corti – La civetta

Allorché Catone e Aulo escono dal pretorio, dal culmine dello stesso pretorio si stacca un piccolo uccello rapace, che con un breve volo va a posarsi sulla cima di un’asta piantata nel terreno lì accanto ( si tratta dell’asta adibita a reggere l’insegna del console). Qui fermatasi la bestiola fissa i suoi grandi occhi gialli sui due uomini, e com’è costume delle civette comincia a muovere a ripetizione la testa rotonda dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto.

AULO, sorridendo: <<Guarda quello… sembra ce l’abbia con noi.>>

CATONE si ferma un istante: <<È una civetta.>>

AULO la osserva attento: << Sì infatti, una civetta: l’uccello di Minerva…>> e passando al suo greco, invero un po’ incerto: <<sacro alla vergine Minerva, Atena Parthenos, che dall’alto del suo Partenone protegge Atene. >>

CATONE sorride: << Fortuna che non c’è qui un aruspice, se no chissà con quali sciocchezze spiegherebbe questa apparizione.>>

AULO: << Guarda… sembra insista nel dirci di sì. >>

CATONE, mentre riprende a camminare: << E allora la spiegazione ce la diamo noi: quella ci dice che facciamo bene ad andare ad Atene a continuare il nostro tentativo di pace. >>

Ridono mentre si allontanano, toccati tuttavia, nel loro intimo, da un senso di presagio fausto.

La civetta, quasi avesse esaurito il proprio compito, lascia con poche strida il palo, e si allontana a volo radente sopra la distesa delle tende, fino a uscire dall’accampamento.