Scritti di Eugenio Corti – L’Antenato
Brano tratto da Gli ultimi soldati del re – selezionato nel 2008 da Eugenio Corti per i lettori di questo sito.
Quella sera, al ritorno da Sarnano, trovai San Ginesio in grande allarme per la notizia che un battaglione di alpini tedeschi della Settantunesima divisione aveva ripassato il fiume Chienti, e stava marciando verso di noi.
Fortunatamente si trattò solo di un falso allarme.
Vicino al pianto c’è il riso: la vita… Il personaggio che domina nel mio ricordo quelle ore è l’Antenato, il quale si trovava col nostro gruppo dal giorno della partenza da Teramo.
Quel giorno me l’ero visto venire incontro appunto mentre stavamo per partire, tutto sorridente a causa dei bei ricordi che ci legavano dalla notte brava all’osservatorio Margherita. Mi aveva salutato con effusione; accanto avevamo gli automezzi e i cannoni già incolonnati: <<Sai? Ho saputo di un posto dove vendono dei magnifici conigli>> mi aveva detto, col monocolo che gli brillava: <<Che ne diresti di andare, con una macchina, a comprarne un paio?>> Siccome in quel momento, all’altezza dei trattori, Pelaformiche stava facendo una delle sue solite piazzate a qualcuno: <<Conigli?>> gli avevo risposto pensoso: <<Ma c’è il maggiore che va pazzo per il coniglio! Bisognerebbe chiederla a lui, la macchina>>. L’Antenato mi aveva guardato con qualche titubanza: dovette tuttavia trovare talmente sinceri il viso mio e dei soldati fattisi intorno, che senza por tempo di mezzo aveva raggiunto il maggiore. Mentre il vecchietto gli parlava, Pelaformiche era diventato paonazzo per la rabbia, poi l’avevamo visto uscire in un subisso di parole concitate. Dominava il termine <<vecchiaccio>>, urlato spesso. L’Antenato era tornato da noi piuttosto perplesso: lungi dal rimbrottarmi per il pesante scherzo, m’aveva tirato in disparte dai soldati: <<Il maggiore è malato di nervi, malato ti dico, ha bisogno d’una cura!>> Poi sospirando: <<E pensare che si trattava di conigli allevati a carote!>> con tutta naturalezza aveva raggiunto il mio autocarro, s’era issato al mio posto sul sedile accanto all’autista Sabatini e, mentre io mi domandavo dove diavolo potessi sistemarmi, aveva a un certo punto cominciato a dar segni di noia, perché si tardava a partire.
La sera dell’allarme a San Ginesio, l’Antenato era agitatissimo e pieno di sonno.
L’ira per la veglia, e per i tedeschi che ci minacciavano, la riversava tutta sul suo attendente, un filibustiere che qualche comandante di reparto gli aveva elogiato e fatto accettare per liberarsene. Mi diceva: <<Mettilo di vedetta in un punto esposto, quel furfante che mi ruba il sapone>>. L’ira chiamava in lui altra ira. Stringeva i pugni e diceva con voce terribile, ma bassa, che quello non lo udisse:<<Finirò col dargli gli arresti a quel lestofante, che continua a farmi sparire il sapone!>>
Poi si sedeva al rozzo tavolo della masseria in cui era insediato il comando di gruppo, poggiava la testa calva sui pugni sovrapposti e si appisolava. Si svegliava di lì a poco, alzando spaventato il capo: <<Eh? I tedeschi?>> <<No, signor capitano>> diceva Francescoli, la luce della lanterna che gl’illuminava il viso miope, <<vada a dormire; non c’è alcun pericolo>>.
<<No, no>> faceva lui, <<lo so che stanno per arrivare. Ma io ho una bomba a mano>> esclamava rizzando fieramente il corpo insonnolito. Usciva incespicando dalla masseria, tra le squadre d’uomini armati e con l’elmo in testa, seduti per terra contro il muro; teneva la bomba in pugno. <<Quando loro arrivano>> diceva con voce digrignante: <<io lancio questa>>. I soldati lo approvavano festosi.
Rientrava: <<L’hai messo di vedetta il mio attendente?>>
<<Certo, signor capitano.>>
<<Raddoppiagli il turno a quel farabutto. Il mio sapone! Bisognerà che io trovi un lucchetto da mettere alla cassetta.>> E si riappisolava.
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