Il «testamento spirituale» di Eugenio Corti

La lettera di EugenioPer questo quaderno Vanda Corti ha fatto un regalo speciale alla nostra rivista, donandoci un inedito di Eugenio Corti di straordinaria importanza: è quello che a tutti gli effetti potrà essere considerato il suo «testamento spirituale». Si tratta di una lettera del 9 dicembre 1993 in cui l’autore del Cavallo rosso riepiloga li senso della sua vita e del suo impegno di scrittore, ossia la continua ricerca del Regno di Dio, anche in posizione controcorrente, e la certezza di dover fondare la sua ricerca su «colonne» della verità e della bellezza. Lo spunto di queste lettera, intima e intensa, fu la poesia «Andando» di Vanda, in cui lei si rammaricava di «non aver dato frutti». [Introduzione di Alessandro Rivali]

 

9 dicembre 1993

Vanda mia,
consentimi di scriverti anzitutto in merito alla tua poesia «Andando», che mi ha molto rattristato. Per due volte parli di te stessa come di una «che non ha dato frutti»: ma non è vero, la realtà non è questa. L’allusione alla mancanza di figli della carne è evidente; anch’io un tempo li desideravo, ma noi due non eravamo chiamati a questo: la nostra unione, nei disegni di Dio, non aveva questo fine; anzi se avessimo avuto dei figli, il disegno che Dio aveva su di noi, non si sarebbe potuto realizzare.

I nostri veri figli sono i nostri libri, che non vengono solo da me, ma anche da te. Essi si reggono interiormente — come sai — su due colonne: la verità e la bellezza, e senza di te al mio fianco e sotto i miei occhi tutti i giorni, la loro bellezza non ci sarebbe stata, o sarebbe stata enormemente monca, cioè appunto, in conclusione, non ci sarebbe stata. Ecco perché Dio ha voluto che noi due, così lontani, ci incontrassimo là sulla scaletta di San Francesco e ci sposassimo. Questo io te l’ho già suggerito più di una volta, ma ho l’impressione che tu non abbia mai dato alle mie parole il peso che meritano. Eppure questo fatto è indispensabile per comprendere la nostra vita.

Te lo ripeto: senza di te al mio fianco la bellezza che c’è nei miei — nei nostri — libri, non ci sarebbe stata; solo io sono in grado di dire questo, e te lo dico e giuro davanti a Dio. Perciò la tua vita non è stata qualcosa di spento, ma al contrario, di luminoso: è stata una straordinaria avventura di donna, come a nessuna delle tue ave, che si sono succedute in un millennio, è toccata in sorte. Perché quei libri — anche questo tu lo sai — sono riusciti in pieno, e hanno un valore straordinario. Non tutti sono in grado di capirlo oggi, dato che hanno contro la cultura [=la falsa cultura] dominante. Ma neppure di questo dobbiamo dispiacerci: anzi io prego sempre Dio che — mentre sono in vita — non mi conceda la soddisfazione del grande successo, perché a tale riguardo sono debole, e cederei con facilità alla tentazione dell’orgoglio. [Così — vedi nel “Cavallo” a pag. 1.146 sono grato al Signore Che con la crisi della ditta paterna, mi abbia sottratto al pericolo di farmi un costume della ricchezza].

Se noi continueremo a cercare il Regno di Dio, tutto ciò che ci occorre, ci sarà dato con sufficiente abbondanza, come è accaduto finora. Forse non è facile per una donna condividere una tale impostazione di vita: ma io ho sempre pensato che tu non sei una donna comune, bensì nobile, e di antica nobiltà, in tutti i sensi. Ti prego di volerti rendere conto punto per punto di queste cose. Se no — come la tua poesia dà l’amara impressione — diventi simile all’uccellino cieco di Pascoli: «E cerchi il sole — e ne son pieni i cieli — e cerchi un chicco — e pieno è l’alberello». Mentre stendevo queste righe, avevo a tratti la sensazione di scrivere il mio testamento spirituale.

Con immutato amore,
tuo Eugenio

(a cura di Alessandro Rivali, luglio/agosto 2014, Studi Cattolici)