La donna del grande scrittore che rifiutò di essere la sua Beatrice
In un libro la corrispondenza tra l’autore del Cavallo rosso e Vanda, la giovane che poi sposerà. Sorprendono la forza d’animo e la straordinaria scrittura di lei.
Besana Brianza, novembre.
Entrare in questo giardino, posare i piedi sull’acciottolato, oltrepassare l’uscio di legno, e vedere il volto candido e la dolce ordinata canizie di Vanda Corti di Marsciano.
Che cosa è tutta questa emozione? Ora capisco la lieve ebbrezza provata da chi attraversa la Russia per raggiungere a Jasnaja Poljana (in russo: “Radura Serena”). Respirava l’aria e la luce della casa di Lev Tolstoj, ed entrava in Guerra e pace. La villa si allunga verso le colline della Brianza. Qui abitò con la sua sposa, la sua donna, Eugenio Corti (1921-2014).
Non importa, anzi è gravissimo, se ne avete forse appena sentito parlare. Non è colpa del lettore ma della industria culturale italiana e dei suoi tenutari intellettuali, i quali, per non fare i conti con un’Italia nascosta e con le sue viscere di civiltà, hanno segregato in un gulag invisibile la potentissima trilogia del Cavallo rosso.
Vi si narra la saga di una famiglia briantea, dove c’è tutto lo scorso secolo di casa nostra, l’educazione degli oratori, la guerra di Russia, i sospiri delle madri, la prigionia, la caccia al fascista, lo sbocciare di amori, la rinascita industriale, la crisi che non è solo economica, eppure si intravvede un filo di luce finale e inesorabile. C’è qualcosa anche dei Buddenbrook di Thomas Mann, la decadenza della borghesia, ma in Corti c’è un’attesa di riscatto. Insomma: non si può riassumere ma solo sprofondarci dentro vigilanti.
Corti ha avuto decine di traduzioni, la sua opera principale è in Italia alla trentacinquesima edizione, senza avere avuto nessuna recensione dai grandi giornali o copertine sventolate in talk-show. Nel 2008 è stato proposto per il Premio Nobel della letteratura, sospinto soprattutto da Le Figaro e da docenti della Sorbona, con l’appoggio dell’intera Brianza e della Regione Lombardia. Niente da fare: ostracismo italico.
Il citofono che suona
Incontrai per un’intervista il Maestro id Besana nel 1984.
Era uscito da poco Il cavallo rosso, era consapevole di avere un compito: era il custode di una sorgente che è impossibile soffocare. Si può chiamare bellezza, ma bellezza nostra, impastata di questo humus che è la Lombardia “che è casa mia”.
Corti! Pensavo di sapere tutto su di lui. Ho anche avuto la fortuna di frequentare quest’uomo, di sentire il citofono e trovarmelo sulle scale con uno scritto, con un pacchetto di libri da spedire in Polonia.
Nel 1984 mi regalò per Natale cinque piccole palme di San Pietro delicatamente cavate (non si dice così, ma sono ignorante) dal parco della sua villa a Besana Brianza, ed esse oggi rivaleggiano tra loro in altezza e con i cedri del Libano in eleganza.
Ed ecco un libro, e un invito a presentarlo.
Travolto in mille questioni inessenziali non l’avevo considerato. Viene presentato dalla casa editrice Ares coe se l’unico autore fosse Eugenio Corti. Titolo: “Voglio il tuo amore”. Lettere a Vanda 1947-1951 (pp. 272, € 16).
In copertina una ragazza con le trecce, che gareggia in bellezza con l’eternità dei templi di Agrigento. E’ Vanda. Lo si capisce, e si capisce anche che voglia il suo amore. Non avevo voglia di leggere lettere di amore giovanile e le lascio lì. Devo però prepararmi, desidero incontrare la signora Vanda e le telefono. Eccola.
Non stava mai lì quando parlavo con il marito. Un saluto, un sorriso discreto, poi se ne andava. Sapevo fosse di là, correggeva i compiti degli alunni da professoressa d’italiano che era. Intuivo come forza e dolcezza, però tenuti in uno scrigno. Ed ecco lo scrigno si è aperto. Le lettere di Corti hanno risposta, e che risposta. E frammezzo alle lettere si affaccia il racconto scritto di che cosa corra tra un’epistola e l’altra.
La presenza
Essa sarà la sorpresa di ciascuno di voi una volta che inizierà a leggere questo libro. E poi di certo arriverà fino alla fine, perché ogni pagina è una sorpresa. Provo a elencarne alcune.
1) Mi aspettavo un soliloquio. Come le lettere di Kafka a Milena che servono molto ad approfondire chi sia lui, ma Elena conta poco. Di Eugenio Corti sapevo non solo il valore dello scrittore: avevo imparato anche a capire quanto fosse volitivo quest’uomo. Del resto anche il titolo del libro lo mitrare così, voglio e posso, se Dio vuole, ma la voglio: Voglio il tuo amore.
Invece chi legge non si troverà davanti un soliloquio. Ma un incontro tra due persone le cui anime, i cui “io” hanno un’intensità e una profondità anche espressiva equivalenti.
2) Vanda è stata dietro Corti, accanto a Corti. Per umiltà sparisce. Ma non è una donna che – nonostante mille volte Eugenio glielo chiedesse, anzi lo esigesse – stesse sottomessa al suo uomo. Io credo che sia questa una delle ragioni più belle e più forti della riuscita pienezza artistica di Eugenio Corti. La presenza di questa grande donna.
3) La scrittura. Se avessi dovuto scegliere da vecchio giornalista chi dei due scrivesse meglio a vent’anni: avrei scelto la ragazza. Ha una scrittura finissima, ha una prosa leopardiana. E qui ho imparato la differenza tra saper scrivere ed essere un grande scrittore. Me lo ha detto con semplicità Vanda di Marsciano (è una contessa umbra): la poesia. Improvvisamente nelle righe spesso alterate di ira o sprofondate di malinconia spesso pretenziosa di Eugenio, si trovano grossi come noci dei diamanti grezzi. La profonda consapevolezza di una missione. Eugenio è certo, ultracerto che la sua vocazione sia una e solo una: essere scrittore.
4) Voleva sottometterla, trasformarla in una Beatrice a suo servizio. Non è andata così. Corti non sarebbe stato lo scrittore che resterà – credo – nei secoli. Per fortuna, questa ragazza che compare nelle lettere non è stato un fragile angioletto del focolare. Oso dire che è stata come colei che fa la parte dell’angelo con Giacobbe. Lo costringe alla lotta. Lei non è Beatrice, lei è Vanda. Non può essere la copia novecentesca della donna ideale. Gli ha mostrato che Dio non si è cristallizzato nella civiltà cristiana, ma è una fede viva.
La fede e la preghiera
5) La fede dei brinate è una fede che si beve (anzi si beveva) come il latte: entra dentro, si diventa paolotti – parlo della generazione di Corti – cioè persone di fede popolare, senza troppe storie. Qual è il rischio? Corti lo confessa. Di pregare poco. Di ridurre la fede a cristianità, a sante regole, si dimentica di essere mendicanti ingrati (Léon Bloy). Lei invece prega. Lui a pag. 120 la giudica: “Tu non sei naturalmente molto portata alla religione”. Alla religione no, ma alla fede, al rapporto personale con Cristo! Lui meno! imparò da lei.
6) La cristianità senza fede è destinata a soccombere. E così questa ragazza fine e intelligente, nelle sue lettere indocili, portando i suoi dubbi davanti a Dio gli dà lezione di fede e preghiera.
7) C’è un altro aspetto infine. Questa storia d’amore assomiglia alle nostre. Qui c’è un fidanzamento all’antica, certo. La distanza. Il desiderato rapporto consensuale di genitori e parenti. Ma i subbugli e le tenerezze , le incomprensioni anche dentro l’innamoramento, si somigliano. Il capire che tante cose ci dividono, tutto talvolta pare contraddire la voglia di essere una cosa sola, eppure c’è qualcosa di inesorabile, un filo fortissimo che è impossibile spezzare. Anzi sarebbe possibilissimo, ma sarebbe però perdere noi stessi.
8) Sono stato folgorato dalla dichiarazione di amore di lei: “In questa solitudine tu vieni sempre a farmi compagnia, senza che io ti cerchi. Mi sei entrato talmente nel pensiero e nell’anima che non posso pensare e fare la più piccola cosa senza riferirla a te”. Altro che Gino Paoli. Vanda oggi ha 92 anni, ed è molto bella.
(Renato Farina, 29/11/19, Libero)