Ritirata dal Don, l’inferno degli eroi

I più non ritornano«Quello del presidente della Bielorussia Lukashenko a Berlusconi non mi pare un grande regalo». Parola di soldato, di reduce di Russia, di grande scrittore abituato a dialogare con la sua coscienza e a parlare con le altre. Eugenio Corti si prepara alla giornata che gli sarà dedicata, dopodomani a Palazzo Reale a Milano. L’autore di «I più non ritornano» e «Il cavallo rosso» non rinuncia a commentare l’attualità. Come la pubblica consegna dei fascicoli del Kgb. «Non credo che servirà a molto per ricostruire la sorte dei prigionieri italiani. La Bielorussia era troppo lontana dal fronte. Ci arrivarono solo gli alpini e lì attesero di venire rimpatriati. Non avvennero combattimenti. Non ci furono campi di prigionia. Anche dopo la partenza degli alpini la Bielorussia rimase occupata dai tedeschi. Da quegli archivi può uscire ben poco».

Eugenio Corti vive a Besana Brianza dove è nato nel 1921. Riservato e schivo nonostante le tante consacrazioni. «Il cavallo rosso», la grande saga suo capolavoro, pubblicato dalle edizioni milanesi Ares, è arrivato alla venticinquesima edizione e viene letto anche negli Usa e in Giappone, mentre «I più non ritornano», uno dei più grandi classici della memorialistica sulla tragedia del corpo di spedizione italiano in Russia, è stato tradotto in dieci Paesi. «Fin da ragazzo volevo essere scrittore. All’inizio di quello che era allora il ginnasio ho avuto in mano Omero che mi ha preso in modo totale. Omero traduceva in bellezza tutte le cose di cui parlava. Avrei voluto fare lo stesso. E’ stato il mio primo binario. Il secondo l’ho imboccato durante la ritirata, nella valle di Arbusov. Mi sono impegnato con Domineddio per il secondo versetto del Pater Noster: “Venga il Tuo Regno”. Ovviamente nel campo letterario, il mio».

Studente di giurisprudenza alla Cattolica di Milano, allievo alla scuola ufficiali di artiglieria di Moncalieri, Corti chiede di essere destinato in Russia. «Nella biblioteca dell’università leggevo la rivista “Esprit” e seguivo gli articoli di Emanuel Mounier, il portavoce di Maritain, dove si sviluppava il concetto che il comunismo non è negativo e i comunisti sono più cristiani di noi. Mi colpì molto.

“Bisogna che vada a vedere”, decisi». Riesce fra i primi 10 su 250 allievi ufficiali. Ha il diritto di indicare il reparto a cui venire assegnato. Sceglie il 30mo Raggruppamento di artiglieria sul fronte russo. Parte come sottotenente nel giugno del ’42. E’ sul Donetz, partecipa alla grande avanzata fino al Don. Il 16 dicembre scatta l’offensiva russa. Il 19 gli italiani iniziano a ripiegare. Sono i 28 drammatici giorni narrati in «I più non ritornano». Ventotto giorni per uscire dalla sacca. «La ritirata è stata la summa delle esperienze della mia vita. Ho conosciuto tutte le abiezioni a cui può arrivare un essere umano e nello stesso tempo tutti i possibili eroismi non solo militari, ma anche umani e civili, la solidarietà, l’aiuto al prossimo. E’ stata l’esperienza dei limiti fisici a cui può arrivare l’uomo. Marciavamo con 15 gradi sotto zero quando andava bene, la notte si scendeva sotto i 40. I reparti avevano perduto ogni consistenza. Non c’erano più forniture di viveri e munizioni. Non c’erano più mezzi. I muli morivano. Eravamo costretti ad abbandonare i feriti».

Prima che iniziasse la rotta, Corti ha potuto compiere la sua verifica sugli effetti del comunismo. «Un po’ tutti i nostri soldati masticavano qualche parola di russo. Nella mia batteria ne avevo uno, Antonino Allegra, un siciliano che aveva imparato la lingua alla perfezione. Nei momenti di tregua mi facevo accompagnare da lui e parlavo con i contadini. La realtà del comunismo era tragica oltre ogni aspettativa. Non c’era famiglia ucraina o cosacca che non avesse avuto un parente fucilato o deportato. Nella grande carestia del ’37-’38 molti erano stati costretti al cannibalismo». Il ritorno. La laurea in legge. Il lavoro nell’azienda tessile del padre. Agli inizi degli anni Settanta Corti prende la decisione di dedicarsi unicamente alla letteratura.

Sarà scrittore e soltanto scrittore. Inizia la stesura de «Il cavallo rosso», che lo impegnerà undici anni. Letto, tradotto, studiato, venerato. Chi è oggi Eugenio Corti? «Uno che sta finendo di scrivere tutti i libri che si era proposto. Che ringrazia il Cielo di averlo potuto fare e ringrazia tutti quelli che lo hanno aiutato nelle sue battaglie culturali, in particolare i giovani delle varie università di Milano che quasi ogni settimana vengono a trovarlo».

(Gabriele Moroni, Il Giorno, 08/12/2009)