Il fumo nel tempio
“Il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio […]. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio” (Paolo VI, 1972).
E’ l’insegna, che il grande scrittore Eugenio Corti eleva sulla fronte del suo ultimo libro “Il fumo nel tempio” (Edizioni Ares, Milano 1996, pp. 300, L. 28.000). Ancor prima che mi pervenisse, ero convinto che tra la nuova opera di Corti e il sottoscritto si sarebbe stabilita una complice intesa. Così è stato. Ho letto il volume non soltanto con la curiosità e l’attenzione che i delicati temi trattati comportano, ma anche con quel disperato piacere, che prende un individuo nel constatare come, pur avendo avuto ragione in tempi di contestazione e di emarginazione, si ritrova ugualmente tra gli sconfitti.
Sconfitti, però, non dalla verità, ma dalla menzogna. E’ doloroso dirlo, ma indispensabile riconoscerlo. Siamo pessimisti? Può darsi. Si osservi, allora, il panorama culturale, religioso, morale, politico, giudiziario, sociale ed economico del Paese: comunisti o eredi del comunismo, affiancati da ossequiosi domestici del mondo cattolico, nonostante le reiterate condanne del socialcomunismo da parte della Chiesa, sono ora al potere. Unico Paese occidentale, l’Italia, caduto nelle grinfie di forze, definite dal Magistero “intrinsecamente perverse”. Si dice: ma sono cambiate, quelle forze. Siamo molto scettici. Sta il fatto che la teoria gramsciana si è affermata con l’avallo e il sostegno politico di quanti, nell’universo cattolico, invece di difendere la propria identità, si sono lasciati abbindolare e snaturare. Oppure sono passati all’altra sponda per opportunismo o per odio a un determinato schieramento. Diceva Gramsci: conquistate culturalmente la società, il potere vi sarà servito su un piatto d’argento.
Il consenso a quanto scrive Corti scaturisce anche dalla comunanza della battaglia da molti di noi condotta in sintonia con l’impegno e la preparazione molto più autorevole dell’autore nello spazio di tempo, che, approssimativamente, va dalla fine del Concilio agli inizi degli anni Novanta. Ma Corti punta le luci indagatrici del suo osservatorio sino ai nostri giorni e ne fa testimonianza, tra l’altro, il saggio Breve storia della Democrazia Cristiana, con particolare riguardo ai suoi errori, che egli mi inviò, appena stampato, nell’aprile del 1995.
Lo strabismo degli “illuminati”
Sarà bene, tuttavia, proseguire con un po’ d’ordine. Il volume raccoglie inediti e interventi tra i più significativi, pubblicati in diverse testate nel periodo sopra indicato. E’ stata quella dell’autore una scelta ben mirata per riproporre una serie di analisi degli sbandamenti e dei tradimenti di talune sfere del mondo cattolico e laico democratico. Analisi, aggiungiamo noi, inoppugnabili, perché veritiere e documentatissime; oneste, perché sollecitate dal bisogno, dall’impulso appassionato di far riflettere gregge e pastori. E per dimostrare che Corti non era il solo a denunciare deviazioni e distorte interpretazioni dello spirito del Vaticano II, va riprodotto un periodo di una recensione a Il cavallo rosso del compianto padre Cornelio Fabro, apparsa sulla rivista Renovatio nel 1991 e ripresa nel volume.
“Nessuna meraviglia – scrive con amarezza Fabro – che la corruzione dei costumi, pubblici e privati dilaghi senza freni […]. La cultura cattolica, dopo la morte di Pio XII ,allora come oggi, anziché lottare contro le errate analisi marxiste, insisteva a cercare punti di incontro con essa: il Papa dovette intervenire […]. Si aveva l’impressione che la società cristiana si sfasciasse e la nostra diventasse, per un ecumenismo male inteso, la religione della tolleranza”.
Poco prima Fabro aveva parlato di “comportamento non esemplare ai vertici della politica e, talora, della stessa Chiesa”.
Le tematiche degli scritti sono molteplici, tra le quali spiccano: le magagne della mentalità di sinistra; il progressismo avventuroso dei cattocomunisti; la dipendenza acritica dalla teorie di Maritain e Mounier, particolarmente contestate da Corti; lo strabismo di cattolici “illuminati”, tipo Raniero La Valle ecompagni; la condizione di minorità e insignificanza della stampa cattolica; lo stato di dissoluzione di organizzazioni come l’Azione Cattolica e le Acli; la deliberata volontà di ignorare e nascondere i crimini comunisti; la crescente e non ostacolata invadenza dei marxisti nei mass media, nella TV, nelle università e nell’editoria; la criminalizzazione della destra e l’esaltazione dell’antifascismo, sino alla coraggiosa, ma filiale e rispettosissima riflessione sulla complessa personalità di Paolo VI.
E giacché si è citato Papa Montini, sarà bene riprendere un’altra sua denuncia del 1997, che Corti riporta in apertura del libro, quasi a voler rassicurare il lettore che le sue critiche discendono da un alto Magistero. “Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico – afferma il Pontefice – è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico e può avvenire che che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia”.
Ci sembra che l’autore appartenga, a pieno titolo, a questo piccolo gregge. Corti avrebbe potuto riprendere anche un’altra dolorosa espressione pronunciata da Paolo VI nel 1973. Questa: “La confusione, la disgregazione è purtroppo entrata ora in non pochi ceti della Chiesa […]. Noi siamo stati forse troppo deboli e imprudenti”.
La drammaticità di queste parole è evidentissima. Papa Montini, che Corti definisce “uomo di bontà non comune e di animo nobilissimo”, non era insensibile alle “prospettive maritainiane, alle quali, come uomo, egli aderiva toto corde, tanto che da giovane è stato taduttore di Maritain”. Fu probabilmente la grande stima e l’amicizia che lo legavano al filosofo francese a suggerirgli di privilegiare uomini maritainiani, come La Valle, alla cui indubbia, ma sospetta intelligenza venne, tra l’altro, sacrificato Il Quotidiano, il giornale cattolico romano soppresso nel 1964.
Paolo VI, quando dice “noi siamo stati troppo deboli e imprudenti”, probabilmente si riferisce anche a scelte non felici e a eccessiva fiducia riposti in uomini e gruppi di dubbia fedeltà. Ciò non toglie – e questa è nostra opinione – che egli sia stato un Pastore dottrinalmente ineccepibile e che le sue aperture al moderno fossero tenacemente ancorate alla tradizione, alla storia, alla bellezza poetica, manifestazioni della vicenda umana, di cui egli aveva il culto e subiva l’irresistibile fascino.
Fabro e Del Noce
In altra parte del libro Corti si chiede come mai il Concilio non avesse ripreso a condanna del comunismo, nonostante le sollecitazioni di molti Padri conciliari. Egli parla di quattrocentocinquanta vescovi. Chi scrive, al tempo direttore di Realtà Politica, ebbe notizia dall’entourage di mons. Carli, vescovo di Segni e alfiere riconosciuto della cordata, che i vescovi richiedenti la condanna del comunismo fossero quasi seicento. Come quella istanza non fosse mai pervenuta – così si vociferava – ai vertici deliberanti del Concilio o fosse stata disattesa è un mistero. In un appunto di diario, riprodotto nel libro, l’autore scrive: “Visto quanto è accaduto in seguito, ho finito di convincermi che a impedire una solenne condanna del comunismo da parte del Concilio Vaticano II sia stato, nientemeno, Dio stesso”.
Potrebbe apparire una scappatoia. Ma Corti non è uso a simili sotterfugi. Credente cattolico tutto d’un pezzo, giudica che Dio vagli sulla storia e in qualche modo la guidi, anche quando a noi pare che a guidarla siano gli uomini. Il valore e la credibilità di Corti su questo terreno piuttosto accidentato, ove uno scrittore un po’ avventato potrebbe correre il rischio di scivolare nell’esagerazione, nell’argomento fallace o nella polemica soggettivistica, sono testimoniati dalla conformità di vedute e di giudizio di un Augusto Del Noce e del già citato Cornelio Fabro, dei quali vengono pubblicate lettere inedite. Del Noce si intrattiene sul movimento Comunione e Liberazione, di cui fu ardente sostenitore; mentre Fabro si rivela quasi in confidenza e dimestichezza grande con il suo interlocutore, di cui approva e sostiene la lucida, ortodossa battaglia. Due tra i maggiori esponenti della cultura cattolica dell’ultimo cinquantennio solidarizzano con Corti, di cui fanno un po’ uno dei pilastri del risveglio culturale “per tutta la nazione e di condanna per troppi traditori”.
Impossibile sostare su altri spunti e soggetti discussi dall’autore. Citiamo qualche titolazione: La guerra tra i poveri, Bertold Brecht; Solgenitsin ad Harvard; L’arte in Occidente; L’espropriazione della letteratura italiana; La storia d’Israele.
Da sottolineare soprattutto il vile contegno, con il quale fu accolto dalla generalità dei media italiani, il famoso discorso di Solgenitsin. Annota Corti: “Ciò che più colpisce chi scrive queste note è però un’altra cosa: il fatto che i cristiani – anzi i cattolici – non abbiano immediatamente individuato, nel discorso di Solgenitsin il discorso che è stato loro proprio, finché la cultura italiana non è entrata nell’attuale stato di confusione. Si tratta della nostra stessa visione della storia, che individuava e individua appunto l’inizio della scristianizzazione nel passaggio dal teocentrismo all’antropocentrismo rinascimentale”. Il richiamo allo scrittore russo ci porta a sottolineare una costante nel pensiero di Corti: la documentazione storica. In diverse circostanze egli esorta il lettore a non dimenticare che il comunismo, cui troppi illusi guardavano come al sole della nuova civiltà, avesse causato sessanta milioni di morti inermi in Russia e centocinquanta in Cina, senza contare quelli della Cambogia, del Vietnam e di altri Paesi.
Un dono all’intelligenza
Un rilievo particolare meritano gli articoli pubblicati sull’Ordine di Como. Lo faccio anche per rendere omaggio alla memoria di quel meraviglioso sacerdote e giornalista, don Giuseppe Brusadelli, che ebbi la fortuna di conoscere e che aveva fatto del quotidiano comasco un punto di riferimento e nutrimento ideale anche per noi. A Roma non avevamo più, almeno in quegli anni, testate, che ci dessero stimoli e verticali illuminazioni, proprie di don Brusadelli. A sostituire il santo sacerdote, il quale scriveva un editoriale al giorno, fu chiamato Eugenio Corti. Ovvero la continuità nel sostenere la verità e nel denunciare senza sosta e senza ignavia gli errori e le deficienze della cultura marxista-laicista e di quella progressista cattolica, che vi si inaridiva accanto, ai piedi.
Il libro si chiude con la riproduzione di “ricordi del tempo di guerra”, alcuni straordinariamente toccanti. Ci sono poi tre raconti-fantasia “della contestazione”, uno dei quali dedicato a un non meglio precisato Carlo B.
Ci è sorto subito il sospetto trattarsi di un luminare della critica letteraria ancora in vita, che in questi ultimi mesi ha scoperto, con decenni di ritardo, l’egemonia culturale marxista in Italia, alla cui diffusione intellettuali della stessa risma avevano attivamente e autorevolmente collaborato. Un quadretto esilarante, con stilettate ben assestate nelle vene progressiste del “sognatore”.
Siamo sicuri che il libro di Corti sarà letto, se già non è stato letto, da simpatizzanti e avversari. I primi per godersi un pascolo gratificante; i secondi per contestarlo, non senza però aver fatto i conti con argomentazioni e dimostrazioni difficilente confutabili. Un’opera, comunque, di cui si sentiva il bisogno. Nel gorgo tempestoso del momento politico ove spadroneggiano vigliacchi, demagoghi, traditori, cattolici abdicatari e funamboli dell’ambiguità, una testimonianza lucida, coraggiosa, coerente, come quella di Corti, è un dono all’intelligenza e al desiderio, ove esista, di evadere dalle zone invase da un fumo, che prima acceca e poi uccide l’anima.
(Alcide Cotturone, Studi Cattolici, dicembre 1996)