Scritti di Eugenio Corti – L’anima di Stefano

Il cavallo rosso

Brano tratto da Il cavallo rosso – selezionato nel 2008 da Eugenio Corti per i lettori di questo sito.

La sua anima abbandonò il corpo. Come quando bambino, nel cortile della Nomanella, poggiati per gioco mani e ventre su una stanga del carro Stefano spingeva le gambe in alto e la testa in giù per vedere il mondo capovolto, così ora intorno a lui si produsse un grande capovolgimento.

 Nello stesso istante a Nomana – a tremila chilometri di distanza – un ticchettio su un vetro della camera da letto destò la mamm Lusìa, che lanciò un grido: << Stefano è morto! Oh, povera me, povera me, povera me. >>

Si svegliò di soprassalto Ferrante: << Come? Cosa… cosa dici? >>

<< Il nostro Stefano è morto, è morto, è morto. >>
<< Calmati Lucia. >> Ferrante allungò un braccio, cercò la peretta della luce, ne premette il pulsante. Una luce giallognola illuminò la testa scarmigliata della misera madre levatasi a sedere nel letto, i suoi occhi pieni d’angoscia, le dita premute spasmodicamente sulla bocca, tanto che storcevano i lineamenti del viso; intorno c’era però la solita umile stanza e l’aspetto tranquillante delle cose di sempre.

<< Calmati Lucia. Di sicuro hai sognato. >>

<< No, no Ferrante. Non è così stavolta. Lo sento stavolta, oh! Stefano è morto>> e la povera Lucia, impossibilitata a spiegarsi, cominciò a singhiozzare.

<< Ascolta, se hai sognato che Stefano moriva – lo sai anche tu, no? – gli hai allungata la vita. >> Ma anche Ferrante era incerto: raramente aveva visto sua moglie in uno stato simile.

<< Il vetro della finestra >> esclamò la donna, indicandolo con la mano: << L’ho sentito battere al vetro. Forse… Forse lo ha rotto? >>

<< Chi? Ha rotto il vetro? >> Ferrante indugiò un poco, poi mise con un sospiro le gambe fuori del letto, infilò i piedi in due logore ciabatte, e si alzò. Nella stanza non riscaldata faceva freddo. L’uomo andò con passi dapprima incerti alla finestra, aprì gli scuri, esaminò alla debole luce della lampadina uno per uno i riquadri di vetro infiorati di giaccio (fuori era ancora buio e le persiane erano serrate), poi richiuse i due scuri.

<< I vetri sono sani>> disse, << e nessuno può averli toccati perché le persiane sono chiuse. Forse hai sentito il ghiaccio scricchiolare. Lucia calmati: tu hai sognato e… >>

<< No, ti dico. Io non lo stavo sognando Stefano; tante altre notti sì, ma non stanotte. È stato lui a svegliarmi, passando di qui: la sua anima. La sua anima, capisci? >> parlava concitata, per poco non si metteva a gridare.

<< Queste non sono cose da dire. Domani… cioè oggi, quando si sarà fatto chiaro, potrai parlarne con don Mario, e te lo dirà anche lui. Sentirai: questo che tu dici è come lo chiamano? superstizione, ecco. >> Guardò la moglie nei mansueti occhi marroni, e si sforzò di sorriderle: << Una donna di fede come te, credere alle superstizioni! Eh? Da quando in qua?>>

<< Oh no, non è così >> disse Lucia: << non…>> e ricominciò a piangere sommessamente. Ferrante guardò la grossa sveglia sul canterano: segnava le sette e un quarto. Involontariamente ne prese atto: se lo spavento di sua moglie era fondato, la morte del loro ragazzo doveva essere avvenuta cinque minuti prima, alle sette e dieci. “Ma… che razza di ragionamento sto facendo?” si rimproverò: “Sto forse perdendo la testa anch’io?” << Vuoi qualcosa, Lucia? >> chiese alla moglie. << Che ti scaldi magari un po’ di caffè? >>

La donna, senza smettere di piangere, fece segno di no con la testa. Poi: << Scusami Ferrante >> mormorò.

<<Coraggio >> le disse l’uomo << devi farti coraggio. >> Lì in piedi, non sapendo bene cosa fare, si ravviava con insistenza i baffi color pepe: << Cerca di vincerti e… Insomma fatti coraggio. Guarda, sai che ti dico? Io mi rimetto a letto>> mentre lo diceva cominciò a eseguire << e anche tu ti rimetti sotto le coperte, ecco, ecco, così; e adesso, al caldo, se credi diciamo insieme una decina del rosario, perché nostro figlio torni sano e salvo a dispetto dei tuoi sogni. >>

Lucia fece segno di no, di no, scuotendo la testa sul cuscino: <<Non è stato un sogno >> sussurrò.

Ferrante spense la luce.