Le sviste dei cattolici “illuminati”

Il fumo nel tempio(aprile 1974)

Emmanuel Mounier
Sappiamo tutti che Mounier e la sua rivista Esprìt (coi loro annessi in Francia e altrove) stanno a monte delle spinte e spintoni con cui, da un po’ di anni a questa parte, certi cattolici ‘illuminati’ si sforzano di costringere (e in effetti ogni tanto costringono) la Chiesa a seguire un indirizzo ‘rivoluzionario’ e di apertura al comunismo.

Esprit che — dopo un’accurata preparazione — iniziò le pubblicazioni nell’ottobre 1932, aveva per programma di essere «un laboratorio in cui si cercano di definire le posizioni fondamentali dell’ordine di domani». Si dimostrò fin dai primi numeri accesamente progressista, tanto che il 2 novembre 1932, dopo l’uscita del secondo numero, l’amico nonché ispiratore Maritain scrisse al suo direttore Mounier: «Non soltanto lei non osa dichiararsi cattolico, ma si mette dall’altra parte della barricata, rivoltandosi in malo modo contro ‘tutti’ i cattolici… per lusingare i rivoluzionari».

Abbiamo ricercato, nel fitto carteggio intercorso tra Mounier e Maritain prima e dopo la nascita di Esprit, se l’intellettuale cattolico Mounier — intimamente suggestionato e quasi abbagliato dalle teorie comuniste — si sia oppure no posto il quesito elementare: che cosa tali teorie, allora già da diversi anni in corso d’attuazione in Russia, stessero producendo nella realtà. E abbiamo riscontrato che in effetti — precisamente nel periodo di maggior fervore nella preparazione della rivista — la questione fu posta.

Leggiamo infatti nella lettera di Maritain a Mounier del 14 febbraio 1931: «La prossima riunione avrà luogo domenica primo marzo. Spero verrà Massignon e ci parlerà delle sue impressioni sulla Russia». E più avanti: «Quanto all’incontro con Massignon, bisognerà che sia particolarmente ‘privato’, ne parli perciò solo a quei nostri amici che vengono regolarmente: Izard, Déléage, Francois, Henry…». Delle impressioni riferite da Massignon in questo e in successivi incontri (nel carteggio Massignon viene nominato altre volte) non c’è traccia: devono però essere state quanto mai positive, se Mounier si buttò senz’altro a teorizzare una sorta di collaborazione dei cattolici con i comunisti, fino a urtare ancora una volta Maritain, che nella lettera del 21 maggio 1933 afferma: «Ho letto l’ultimo numero di Esprìt… Fare una rivoluzione in due tempi, prima ‘collettivista’ in collaborazione con i comunisti, e poi ‘personalista’ (cioè cattolica, nota d. r.) è cosa idiota… È fin troppo chiaro che tra il primo e il secondo tempo (i cattolici) saranno spazzati via; almeno quelli che non passeranno allegramente al comunismo».

Non per questo Mounier cambiò orientamento: a controprova della sua imperturbabilità leggiamo ad esempio nella sua lettera del 14 giugno 1933 a Maritain: «II canonico R. dell’Azione Cattolica viene a trovarmi» e parlando del comunismo dice: «il Santo Padre vi vede, con una intuizione che io credo provvidenziale, tanto è importante per lui e persistente, una forma dell’anticristo…»; dall’alto della propria sufficienza, Mounier commenta che un tal modo di vedere le cose è «mescolanza di malintesi e di miti».

Se nella mente del papa c’erano dunque «malintesi e miti», vediamo qual era la realtà. Erano quelli, in Russia, gli anni della collettivizzazione forzata della terra, i più atroci mai attraversati dal paese. Degli orrori della collettivizzazione (in seguito riconosciuti, almeno in parte, dagli stessi comunisti) abbiamo oggi in Occidente diverse testimonianze dirette; molto viva è quella di Vassili Grossman da cui, per ricostruire sinteticamente la situazione, riportiamo quanto segue: dapprima, nel 1929, le autorità «annunciarono apertamente che bisognava sollevare il furore delle masse contro i kulaki (qualcosa come i nostri ‘coltivatori diretti’, nota d. r.): annientarli tutti come classe, i maledetti». In effetti vennero tutti strappati dalle loro case e deportati a morire quanti erano: «Da ogni villaggio una colonna di gente… Li spingevano a camminare sotto la scorta della Ghepeù come assassini: nonni e nonne, donne, bambini… La gente sussurrava “Cacciano via il kulaccame” ed era come se vedessero dei lupi. E certuni gli gridavano “Maledetti!”; loro non piangevano neanche più, erano diventati di pietra».

Dopo di che — cessata la produzione di quelli, e non avendo molti contadini degli strati inferiori, inquadrati forzatamente nei colcozi, provveduto bastantemente alle semine — venne requisito tutto il grano prodotto: «Le consegne che fissarono per il nostro villaggio furono tali che non avremmo potuto effettuarle in dieci anni. Al Soviet si ubriacarono per lo spavento anche quelli che di solito non bevevano…» Nelle isbe dei villaggi le squadre comuniste «cercavano il grano come se non fosse grano, ma bombe, mitragliatrici. Saggiavano la terra con le baionette, sfondavano tutti i pavimenti…» Per i contadini ebbe inizio la fame: «E così la grande paura. Le madri guardavano i bambini e cominciavano a gridare dalla paura. Gridavano come se in casa fosse entrato un serpente…» Passato un certo tempo anche «i bambini urlavano, non dormivano; chiedevano pane anche di notte». Divennero simili a piccoli spettri: «Hai mai visto — ne hanno pubblicato le fotografie sui giornali — i bambini nei lager tedeschi? Tali e quali anche i nostri…» Seguì una «moria generale. Dappprima i bambini, i vecchi, poi l’età media. In principio li sotterrarono, poi non lo fecero più. Così i morti si ammucchiarono nelle strade, nei cortili, e gli ultimi rimasero nelle isbe. Tutto si fece silenzioso». A Kiev molti contadini «affamati strisciavano in mezzo alla gente: bambini, nonni, ragazzette, e non pareva nemmeno che fossero esseri umani, ma una sorta di cagnetti o gattini schifosi, su quattro zampe… Ogni mattina passavano delle piattaforme speciali trainate da cavalli e raccoglievano quelli che erano morti durante la notte».

Il numero complessivo dei morti lo comunicò dieci anni più tardi Stalin a Churchill, che lo riferisce nelle sue memorie: «Dieci milioni — rispose Stalin alzando entrambe le mani — fu una lotta terribile che durò ben quattro anni» (1). Gli anni della lotta dei comunisti contro i contadini inermi vanno dalla fine del 1929 al 1933: fu precisamente in questo periodo che Massignon visitò la Russia, tornandone tanto entusiasta.

C’è nelle pagine di Vassili Grossman un piccolo episodio, la descrizione della visita di un autorevole personaggio francese: leggendolo ci siamo chiesti se per caso non si trattasse proprio di Massignon, sebbene nel testo il personaggio venga definito «un ministro». Dice Grossman: su un giornale apparve «un articoletto, che era arrivato un francese, un ministro famoso, e l’avevano portato nella regione di Dnepropetrovsk dove c’era la carestia più terribile, anche peggiore della nostra: laggiù la gente mangiava la gente. Ed ecco che l’avevano condotto in un villaggio, nel piccolo giardino d’infanzia di un colcoz, e lui a domandare: “Che cos’avete mangiato oggi per pranzo?” E i bambini a rispondere: “Minestra di pollo con tortellini e polpette di riso…” Uccidevano milioni di persone e riuscivano a ingannare tutto il mondo!»

Raniero La Valle
Singolare analogia con la visita di Louis Massignon in Russia ci sembra presenti quella, tanto più recente, del nostro Raniero La Valle in Cina. Questo autorevole giornalista (spiritualmente imparentato — attraverso Dossetti — con Mounier e gli altri novatori francesi) va acquistando una sempre maggior preminenza nel gruppo dei cattolici ‘illuminati’ italiani che, anziché accettare direttive dai pastori, sempre più spesso alzano la voce per dare essi stessi — da nessuno richiesti — direttive ai pastori.

La Valle ha dunque visitata la Cina nell’autunno del 73, scrivendo poi un servizio pubblicato con rilievo su  Il Giorno del 4 ottobre, sotto il titolo: Dio nel paese di Mao. In tale articolo La Valle se la prende con l’infelicissima Chiesa cattolica cinese: munito di paraocchi simili a quelli di Massignon e di Mounier, egli non si preoccupa minimamente d’indagare lo stato reale di quella Chiesa: di accertare per esempio se i suoi membri siano stati o no coinvolti nelle tremende carneficine d’inermi che secondo gli ultimi studi (come quello autorevole pubblicato da Richard L. Walker nel 1971) hanno causato nel paese forse più di 60 milioni di vittime (2).

Evidentemente secondo La Valle i comunisti sono persone troppo esemplari per poter compiere alcunché di simile; in perfetta buona fede egli non lo sospetta neppure. Se la prende dunque con quella provatissima Chiesa cattolica: «Sono andato a messa nella cattedrale di Pechino» scrive, e sottolinea «regolarmente aperta al culto», nella quale però «il popolo giustamente non c’era». Perché giustamente? «II celebrante» egli spiega «voltava le spalle al popolo… la lingua era il latino… le letture erano sussurrate sotto voce. Sarebbe difficile attribuire all’ateismo di stato vigente in Cina la responsabilità di tale squallore, e non invece alla sterilità pastorale di una Chiesa tutta latina». Ecco il vero orrore ch’egli ha scoperto in Cina: usano ancora la liturgia preconciliare nella celebrazione della messa! Afferma: «È da qui che bisogna partire se si vuole aprire un discorso sulla natura dell’ateismo cinese e della sua lotta antireligiosa, che non è stata lotta contro il Vangelo». Anzi «la forma che oggi la religione assume in Cina», ci illumina tutti La Valle, «è il maoismo, in quanto momento unificante tra ordine della natura e ordine umano». Conclude: «La vecchia Chiesa rimasta in Cina, anche se officiata da vescovi e preti cinesi, appare oggi pressoché inservibile, se non passa anch’essa attraverso la sua rivoluzione culturale».

Eugenio CortiViene spontaneo chiedersi che impressione debba aver fatto ai poveri preti cinesi di Pechino un simile visitatore il quale, anziché informarsi almeno, con un minimo di carità, della sorte dei suoi fratelli in Cristo (il popolo — come dice lui stesso — in chiesa non c’era), giudica e ragiona con una così atroce inconsapevolezza. Abbiamo detto che lo studio di Walker sul costo umano del comunismo in Cina è del 1971: non comprende quindi il recentissimo eccidio dei ciechi, dei lebbrosi, dei pazzi, degli storpi e degli incurabili in genere, che fu compiuto dopo tale data (forse dal deposto Lin Piao, i cui seguaci stanno oggi tentando di riprendere il sopravvento). Almeno di questo eccìdio, così vicino nel tempo, La Valle qualcosa avrebbe pur dovuto sospettare: perché notizie — se pure frammentarie — ne sono state ripetutamente portate in Italia: non tanto da pubblicazioni, che senza dubbio La Valle ritiene doveroso non leggere, quanto dai tecnici e dagli operai delle imprese italiane che hanno lavori laggiù.

Del resto sarebbe bastato un po’ di fiuto professionale: un altro giornalista italiano per esempio, Pietro Gheddo, in un viaggio nell’aprile-maggio dello stesso 1973, notò subito l’assenza dalle strade della Cina dei menomati sempre numerosi nei paesi del ‘terzo mondo’ (come in Palestina al tempo di Gesù), e ne scrisse nel numero di novembre della sua rivista Mondo e missione: «In Cina non si vedono più né zoppi, né ciechi, né drogati, né pazzi, né lebbrosi, relitti umani di cui il paese offriva in passato un ampio campionario. Non se ne vedono a Canton, città con più di quattro milioni di abitanti, ma chi ha girato tutta la Cina e vive da molti anni in questo paese mi assicura che anche in altre città non si vedono minorati permanenti o pazzi. Visitando l’ospedale di Canton ho chieso se avevano un reparto per i lebbrosi ed i pazzi. La domanda è rimasta senza risposta. Forse gli incurabili sono stati eliminati? Qualche straniero lo afferma con convinzione».

Se non fosse materia troppo tragica e troppo grondante sangue, si potrebbe davvero fare dell’ironia sull’illuminato La Valle il quale, col suo tono abituale, insieme pretenzioso e dimesso, sentenzia fresco fresco: «la forma che oggi la religione assume in Cina è il maoismo».

Gli ‘illuminati’ minori
Rimane poco spazio per soffermarci su altri personaggi minori che pure fanno parte del gruppo dei cattolici ‘illuminati’ i quali si atteggiano a maestri dei vescovi e del papa, e anzi, all’occasione, perfino a ‘correttori’ delle sacre scritture (Gozzini). Va subito detto che tra costoro ci sono parecchi esibizionisti: individui che, per esempio, se l’attenzione del mondo cattolico si fìssa su un dato luogo (poniamo Nomadelfia), corrono a operare in quel luogo, se poi l’attenzione si sposta su un altro (poniamo su Sotto il monte), corrono a operare in quell’altro, e oggi nell’acceso dibattito intorno al divorzio sono felici di proclamare il contrario di ciò che proclama la Chiesa, ricevendone dai divorzisti la mercede cui sopratutto aspirano: una citazione, o addirittura un articolo di elogio sulla prima pagina di qualche grande giornale laicista.

Oltre a costoro ci sono anche gli esponenti di certe organizzazioni operaie cattoliche — come le Acli e i sindacati — i quali, dopo il Concilio Vaticano II, lasciati liberi di scegliere la loro linea d’azione, non hanno saputo far altro che smentire quanto avevano sostenuto fino allora (smentire cioè il programma per il quale essi stessi e tanti loro compagni avevano lottato nelle fabbriche, non di raro con autentico eroismo) per accodarsi ai loro precedenti avversari. Ormai non più ritenuti tali, grazie appunto agli insegnamenti illuminanti di Mounier e degli altri progressisti, francesi e nostrani.

Al pari dei sopradetti esibizionisti costoro avrebbero oggi in realtà un peso molto modesto nel mondo cattolico (in che credibilità potrebbe sperare chi, col suo comportamento, da una patente di cecità, se non dì falsità, a tutta la propria azione precedente?) se non fosse per una situazione nuova e insidiosa venutasi a creare.

Da un certo tempo in qua infatti, i maggiori mezzi della comunicazione sociale (sopratutto i grandi giornali, appartenenti a materialisti non importa se di destra o di sinistra), formano ormai un assordante concerto unico, in ogni momento disponibile per soverchiare le voci che cercano di sostenere i veri diritti dello spirito. Questi grandi giornali raccolgono — in quanto utile per la loro battaglia scristianizzante — ogni voce dei cattolici polemici verso la Chiesa, e la amplificano enormemente, con un clamore che di fatto copre ogni altra voce. Per parte sua la televisione di stato — anche quella che viene considerata cattolica — concede puntualmente agli ‘illuminati’ uno spazio sproporzionato.

Così molti credenti odono di continuo la voce di questi personaggi, e si chiedono se non sia addirittura la voce genuina della Chiesa; siccome essa contrasta con ciò in cui credono, finiscono col non saper più cosa credere: lentamente la loro fede si affievolisce. (Ci torna in mente la «Chiesa che è in Babilonia» di cui parlava l’apostolo Pietro.)

Note
(1)
I morti furono in realtà molti di più. Dopo l’uscita di questo articolo pervennero in Occidente altri dati, per i quali rimandiamo al nostro libro L’esperimento comunista.
(2) In realtà le vittime furono assai più del doppio. Rimandiamo al nostro libro L’esperimento comunista.