Processo a Stalin
“E’ emerso nelle nostre società moderne un fenomeno nuovo, il divieto di fare domande, come consapevole, deliberata e sapientemente elaborata ostruzione della ratio: da non confondere con la semplice resistenza all’analisi, fenomeno di tutti i tempi”:
Questa lucida riflessione di Augusto Del Noce costituisce una delle provocazioni generatrici dell’opera di Eugenio Corti.
Nato in Brianza, dove attualmente vive, Corti, oggi quasi ottantenne, può essere considerato uno dei testimoni più attendibili e significativi dei drammi che si sono consumati nel Novecento. Affermatosi sulla scena letteraria con “I più non ritornano” (1947), diario della ritirata di Russia, vivamente apprezzato da Benedetto Croce, lo scrittore brianzolo ha ottenuto la sua definitiva consacrazione tra i narratori più rilevanti del secolo con il romanzo “Il cavallo rosso” pubblicato da Ares nel 1983 e giunto ora alla dodicesima edizione. La riflessione di Corti affronta in particolare la tragedia del comunismo, una delle questioni, appunto, che la società occidentale è solita rimuovere, su cui evita di interrogarsi.
“Senza dubbio – osserva lo scrittore in un suo saggio sullo sterminio dei contadini kulaki ad opera del regime sovietico – tra le domande che oggi più severamente è vietato fare ci sono quelle relative a certe imprese compiute dai comunisti là dove hanno preso il potere”.
Nella produzione di Corti spicca, per lucidità di analisi e conclusione, la tragedia “Processo e morte di Stalin”, rappresentata a Roma nel 1962 dalla compagnia di Diego Fabbri, poi tradotta in russo e polacco, e ripubblicata a Mosca nel 1993.
L’ha adesso ristampata l’editore Ares, accludendo altri testi sul comunismo, scritti dagli anni ’60 ai nostri giorni.
Il pensiero dell’autore trae la sua forza e la sua profondità dall’essere nato nella dura esperienza della campagna di Russia – Corti riuscì a scampare miracolosamente alla drammatica ritirata delle truppe italiane. Perciò, la ratio sugli esiti drammatici dell’esperimento comunista, prima che essere ricerca di ragioni storiche è la domanda di un uomo che, di fronte ai massacri compiuti in nome dell’ideologia marxista-leninista, si chiede semplicemente il perché. “Se state costruendo la felicità degli uomini, perché queste incessanti sofferenze, ogni giorno, da tanti e tanti anni?”, chiede, nel “Processo”, Olga Goliscéva, nuora di Stalin, ad una guardia che poco prima aveva annunciato la prossima costruzione del paradiso terrestre comunista.
La risposta a questa domanda viene articolata secondo due approcci che, ad una lettura attenta appaiono complementari e consequenziali: da un lato la sublimazione estetica delle ultime convulse ore della vita di Stalin, fotografate con il linguaggio asciutto – a tratti freddo – di una moderna tragedia, dall’altro l’approfondimento saggistico che, nella seconda parte del libro, passa in rassegna la triste contabilità delle vittime dei regimi comunisti in Russia, Cina ed Indocina. Corti propone poi, nella terza parte, un prospetto storico che, andando a ritroso, giunge ad individuare la matrice culturale e il “precedente storico” che hanno reso possibili le stragi compiute da comunisti e nazisti: l’illuminismo e il “sistema di spopolamento” in Vandea durante la rivoluzione francese, primo esempio di genocidio moderno, che presenta impressionanti analogie con gli omicidi pianificati compiuti in seguito da comunisti e nazisti.
Senz’altro questa parte recente (scritta nel gennaio 1999) è tra la più interessanti e dense del volume, perché tenta una lettura della storia del Novecento finalmente sganciata dalle categorie ermeneutiche marxiste. L’analisi storico-culturale dell’autore si fa ancora più acuta quando, andando più indietro nel tempo, colloca nel Rinascimento lo snodo del pensiero occidentale che ha condotto alla filosofia illuministica. Il “rinato” paganesimo cinquecentesco, infatti, ponendosi istituzionalmente contro Cristo, “tende ad escludere Dio dalla vita dell’uomo”. Questa linea di pensiero nel secolo XVIII raggiunge la sua teorizzazione filosofica con l’illuminismo, che apre la strada alla proclamazione della “morte di Dio”. Nel “Processo”, Stalin, rivolgendosi ai congiurati che di lì a poco lo condanneranno, afferma: “Voi (…) vorreste applicare il principio oscurantista: ‘non ti è lecito uccidere tuo fratello!’ E perché non è lecito? Chi lo dice? Dio lo dice: lo sapete o no? E vorreste tornare sotto il giogo di Dio, voi, moderni uomini liberi?”
In queste parole è condensato il pensiero dell’uomo moderno che ha preteso escludere Dio dall’orizzonte della società e che ha, per ciò, reso possibile la morte di un numero sterminato di esseri umani. Ma spiegare le stragi del XX secolo con il “culto della personalità” in Stalin o riducendo Hitler a “gangster” (Brecht) appare tentativo semplicistico. Ecco che allora Corti ripropone l’attualità del pensiero di S. Agostino sull’alterno sovrapporsi della “città terrena” e della “città celeste”.
“Nel nostro secolo in due distinti ambiti, quello comunista e quello nazista, è stata portata avanti la costruzione di due società “terrene”- una di sinistra, e l’altra di destra – senza quasi mescolanze con “società celesti” che, anche se imperfette, avrebbero come in passato costruito un ritegno: in particolare senza più la pretesa del timor di Dio, del quale era stata proclamata la morte”. Il diffondersi su larga scala di omicidi e menzogne sistematiche sono allora naturali conseguenze dell’affermarsi dell’umanesimo immanentista.
In conclusione Corti propone due drammatiche riflessioni. La prima è volta a denunciare le pesanti responsabilità che la cultura occidentale laica e laicista ha avuto nel far calare un velo di silenzio sui massacri che si compivano nei paesi in cui i comunisti erano andati al potere. “L’occidente ha fornito alle popolazioni poco difese culturalmente dell’Est non soltanto le tragiche utopie che hanno generato gli stermini, ma ha favorito anche, con le sue coperture, l’attuazione degli stermini stessi”. La secondo riflessione conclusiva concerne il fenomeno di un nuovo “imbestiamento” sempre più diffuso tra le giovani generazioni private degli ideali cristiani.
L’incontro con questo testo del Corti diventa dunque essenziale per chi voglia aprire gli occhi sulle tragedie consumatesi nel corso del secolo che volge al termine, ma soprattutto per chi è alla ricerca di una chiave di lettura che spieghi in modo convincente la genesi e le implicazioni storiche del pensiero moderno.
(Nino Faro)