Il cavallo rosso di Eugenio Corti
Non si tratta solamente di un grosso romanzo, ma soprattutto di un grandissimo romanzo e in più di un grandissimo romanzo cattolico. Pubblicato per la prima volta in Italia nel 1983, Il cavallo rosso è appena stato tradotto in francese. Questo cavallo rosso è quello dell’apocalisse: “Comparve allora un altro cavallo rosso fuoco; a colui che lo montava fu dato potere di bandire la pace dalla terra affinché gli uomini si ammazzassero. E gli si diede una grande spada”. (Apoc VI,4).
Questa guerra è la seconda guerra mondiale che fa irruzione in un piccolo villaggio della Lombardia. I giovani mobilitati (Ambrogio, Michele, Stefano…) sono inviati sul fronte russo. Dopo l’avanzata fino al Don, a partire dal dicembre 1942 la ritirata davanti all’offensiva sovietica. Alcuni moriranno, Michele sarà fatto prigioniero, Ambrogio sopravviverà. Corti (anche lui combattente mobilitato sul fronte russo) ricostruisce queste pagine di storia con un realismo e una forza impressionanti. Non passa sotto silenzio né la malvagità dei Tedeschi verso i propri alleati, né il disordine delle divisioni italiane, con l’eccezione delle truppe d’èlite : divisioni alpine o bersaglieri.
E non sono dimenticate neppure le sofferenze né le atrocità della guerra per cui soffrono le popolazioni civili. Il popolo russo “umiliato e offeso” appare alternativamente martirizzato dai “bruti rossi” poi dai “bruti biondi”.
Lontano da ogni manicheismo, Eugenio Corti mette in scena degli uomini con le loro motivazioni, le loro paure, le loro debolezze, ma anche la loro generosità e la loro grandezza.
Le analisi psicologiche appaiono marcate da un sigillo inconsueto, quello della verità dei sentimenti. Eugenio Corti s’impone come un sottile e profondo conoscitore dell’animo umano, ne conosce tutte le passioni. Le pagine consacrate ai prigionieri italiani nei campi russi sono allucinanti: 45.000 prigionieri moriranno, 10.000 solamente torneranno in Italia.
Sembra di toccare il fondo della disperazione e della miseri umana. Per l’autore, questo male che si scatena sulla terra non ha che una origine: la scristianizzazione della società, il trionfo delle ideologie atee. Nazismo e comunismo sono i due volti identici della barbarie totalitaria, a mille leghe dal fascismo, dittatura grandiloquente e bonacciona.
Al ritorno in Italia, assistiamo alla fine del fascismo, ai combattimenti della resistenza in Lombardia e a quelli del corpo di liberazione italiano che combatte i Tedeschi al fianco degli alleati. Dopo la guerra, le elezioni del 1948 vedono il trionfo della Democrazia Cristiana, poi la sua disfatta – corrosa dal progressismo e dalla corruzione – fino al referendum sul divorzio nel 1974.
Tutti questi avvenimenti rivivono attraverso i personaggi originari del villaggio di Nomana in Brianza. Villaggio alpino profondamente cattolico, Nomana è travolto dai flutti della storia.
Tutto questo ci vale un grande romanzo cattolico. Romanzo in gran parte storico, dal momento che l’autore precisa che tutti i fatti narrati sono veritieri. Romanzo cattolico perché i personaggi sono cattolici, ma soprattutto perché, di fronte alla sconfitta delle ideologie totalitarie, non possono che imporsi i valori cristiani del sacrificio, della dedizione, della generosità, d’amore coniugale e amore del lavoro. Numerosi personaggi del romanzo cercano di vivere quotidianamente questi valori.
Recitare il rosario in famiglia, o inviare il proprio angelo custode in missione a fianco della persona amata, appare del tutto… naturale.
Oserei aggiungere che è quindi possibile, al termine del XX secolo, scrivere un grandissimo romanzo senza che i personaggi soccombano alle tentazioni della carne. Non tutto è perduto.
Si leggeranno con interesse i capitoli dedicati alla dittatura intellettuale esercitata dal comunismo dopo la guerra. Dittatura che perdura e il recente concerto di lodi che hanno circondato la morte di Georges Marchais, ex segretario generale del PCF e lavoratore volontario in Germania, prima del STO, è là per rammentarcelo.
Nello stesso modo, l’autore ci affida testimonianze molto interessanti sul vento di follia sessantottarda che ha spazzato la Chiesa e la società civile.
Meraviglioso narratore, fine psicologo, uomo di fede e di dottrina, Eugenio Corti, più che un testimone nostalgico, appare come un profeta, alla maniera di Solgenitsin. Per bocca di Michele Tintori, la cui testimonianza sembra largamente autobiografica, pone le fondamenta di un vero Rinascimento cattolico.
Dal momento che quaggiù nulla è perfetto, si potrà lamentarsi di qualche lungaggine e interrogarsi sulla necessità di tradurre Padre Pio in Père Pie. Alla portata di tutti, questo copioso romanzo dal soffio epico raramente uguagliato, rinnova completamente la nostra visione della Seconda Guerra Mondiale e dovrebbe a questo titolo figurare nella biblioteca di ogni uomo onesto.
E’ difficile trovarsi in tale comunione di pensiero con un autore.
(Jean-Pierre Maugendre, 1998)